Giustizia

Toghe vs Meloni, fuori uno: il capo dell’Anm lascia l’Anm

Certificato l’addio alla guida dei magistrati con tanto di (ennesimo) attacco al governo: ecco cos’ha detto

giudice Bologna decreto governo paesi sicuri © pixelshot tramite Canva.com

Giuseppe Santalucia ha detto basta: sarà addio alla guida dell’Associazione nazionale magistrati, altresì conosciuta con l’acronimo Anm. Un fulmine a ciel sereno, considerando la grande presenza mediatica del quasi ex presidente dei magistrati, in prima fila per difendere le toghe e contestualmente dire la sua contro il governo. Basti pensare alle sue filippiche in relazione al piano Albania, con tanto di accuse di “propaganda” nei confronti dei partiti di maggioranza, rei di voler dare seguito alle promesse fatte agli italiani in materia di immigrazione.

Santalucia ha certificato il suo passo indietro in un’intervista, ovviamente. Ai microfoni del Corriere della Sera, il sessantaduenne ha evidenziato che “quattro anni di impegno intensissimo e faticoso, seppure molto gratificante, sono sufficienti, e credo che nella difesa dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura occorra evitare ogni personalizzazione. Perciò è giusto che altri prendano le redini della rappresentanza”.

Santalucia non si presenterà dunque alle elezioni per il vertice dell’Anm, ma ha colto l’occasione per le ultime bordate contro il governo, in particolare sulla separazione delle carriere invocata da premier e ministri: “Quel progetto serve a introdurre forme di condizionamento della magistratura. Lo dimostrano le reazioni alle sentenze di questi giorni, da dove si evince che la terzietà del giudice c’è già, e funziona. Le polemiche giovano a perseguire il vero fine della riforma, che è il controllo soprattutto dei pm, per incidere sulla scelta di quali processi si debbano fare e quali no”. Ricordiamo che l’Anm – un po’ à la Maurizio Landini – ha paventato lo sciopero perché la novità determinerebbe l’isolamento del pubblico ministero e ne mortificherebbe la funzione di garanzia.

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Il discorso di Santalucia è chiaro, limpido e cristallino: il governo vuole controllare i pm. Quei cattivoni che guidano l’esecutivo e i garantisti dell’opposizione vogliono “controllare e condizionare il pm, che, rischiando una richiesta di danni a fronte a un’eventuale assoluzione, finirà per chiedersi chi glielo fa fare”. Un’affermazione che di neutrale e imparziale ha poco, ma nessuno può certo dirsi sorpreso. Basti pensare alle considerazioni del numero uno Anm sulle assoluzioni di Matteo Salvini a Palermo e di Matteo Renzi a Firenze. Sentenze che a suo avviso dicono “che i giudici valutano prove e fatti ed emettono un giudizio in linea con quanto emerso dai processi. Ma un’assoluzione non significa che il processo non andava fatto; solo nei regimi illiberali, in cui i pubblici ministeri sono orientati dal potere e i giudici non si permettono di dissentire, i processi si concludono sempre con le condanne”.

Ovviamente nessuna autocritica. Se non forzata, davanti all’evidenza. Incalzato sulla scarsa fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia, Santalucia ha spiegato: “Certamente, a cominciare dall’eccesso di attenzione alla carriera emerso dallo scandalo Palamara. Ma di fronte alle continue delegittimazioni alimentate dalla politica è difficile reggere l’onda d’urto contro l’istituzione”.

Anche gli avvocati delle Camere penali hanno anche puntato il dito contro l’”uso politico dello strumento giudiziario”, considerazioni che hanno lasciato “basito” Santalucia, che ha invitato “i rappresentanti degli avvocati, da tecnici del diritto, a rileggere ciò che scrivono prima di divulgare un fuor d’opera incommentabile, che si qualifica da sé. I processi si fanno per provare una responsabilità, se non ci si riesce arriva l’assoluzione, che non può essere una patologia. Gli avvocati dovrebbero essere i primi a saperlo e a dirlo”.

Accantonando le dichiarazioni di Santalucia, il suo addio alla guida dell’Anm è una novità rilevante nel rapporto tra politica e giustizia. Fuori uno, per così dire. Non ci resta che conoscere il suo erede, nella speranza che si metta la parola fine a una guerra che va avanti da trent’anni…

Franco Lodige, 23 dicembre 2024

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