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Togliere i bambini ai genitori: un classico dei progressisti

Certa ideologia ha sempre avuto come scopo la distruzione della famiglia tradizionale

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Bene ha fatto Matteo Salvini ieri a non politicizzare gli eventi di Bibbiano, come attribuibili al Pd, e a chiarire che potrebbero uscire altre casi, con amministrazioni di altro colore – anche se, come vedremo alla fine, Zingaretti non può cavarsela dicendo che passava di lì per caso. Ha fatto bene, il ministro degli Interni, perché, come ha spiegato qui Alessandro Gnocchi, Bibbiano è qualcosa di persino più grave di qualche amministratore fallace e di qualche mercante di bambini: è una battaglia ideologica, e quella che è in gioco è l’ideologia progressista. Vale la pena perciò di soffermarvisi di nuovo.

L’ideologia progressista non comincia con la fine del Muro di Berlino, ma nei secoli precedenti. Ed è una ideologia che vuole costruire un uomo nuovo, raddrizzare il legno storto dell’umanità, liberare il peccatore dalla «superstizione» della religione e della «tradizione». Uno di questi pregiudizi è la famiglia. Per costruire l’uomo nuovo, bisogna che i figli vengano strappati ai genitori e ceduti o a famiglie favorevoli al progetto utopico dell’uomo nuovo, oppure ad apposite comuni. Senza risalire al Platone della Repubblica, tutta la letteratura utopistica, da Thomas More a Tommaso Campanella, per citare i più noti, raccomanda l’educazione separata dei bambini. Ma è con il XVIII secolo dell’Illuminismo e con le sue teorie pedagogiche che si afferma l’idea di togliere i bambini ai genitori e alla famiglia.

Dalla teoria alla pratica: con la Rivoluzione francese cominciano alcuni esperimenti di educazione «repubblicana» e «cittadina» dei fanciulli, provandoli dei genitori. Poi tutto il socialismo della prima metà del XIX secolo raccomanda e impone i figli e persino le donne in comune (ve n’è traccia pure nel primo Marx). È con la rivoluzione bolscevica e poi con l’Urss che il progetto di distruzione della famiglia naturale, cioè della famiglia, e del prelevamento dei bambini, si fa prassi comune, almeno nei primi anni dell’esperimento rivoluzionario. Ma azioni del genere troviamo anche nella Germania nazista, mentre per quel che se ne sappiamo, non v’è traccia di niente del genere nell’Italia fascista.

Il nuovo progressismo, quello post 1989, però è più subdolo. Capisce che non può riproporre il mito stantio della «morte della famiglia» e ora distingue tra famiglia naturale, come la cucciolata dei cani, e «famiglia che ama veramente» (love is love). Le due possono non coincidere e anzi i progressisti vogliono convincerci che più la famiglia è naturale, più vi aumenterebbero gli abusi e le violenze. Ancor meglio, poi, dal loro punto di vista, se la famiglia è composta non da un maschio e una femmina, ma da una coppia omosessuale: in tal caso, l’allontanamento dalla natura essendo massimo, si avrebbe la garanzia che il figlio è davvero «un atto di amore».

Per questo la sinistra non può esattamente dirsi estranea alla vicenda. E’ vero, potrebbero sortire casi in cui altre amministrazioni siano coinvolte, è vero che molti in Forza Italia condividono larghe parti di questa ideologia progressista, ed è altrettanto augurabile che gli amministratori del Pd siano innocenti.

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