Malgrado ci siano i vaccini per un virus che non rappresenta comunque un serio problema per il 99,75% delle persone che lo incontrano, nell’era del terror panico assistiamo all’obbrobrio di una Olimpiade senza spettatori. Una decisione assurda che svuota di significato l’evento più importante e atteso nel mondo dello sport, così come ha amaramente sottolineato Fabio Basile, medaglia d’oro nel judo a Rio de Janeiro 2016.
Una decisione che appare ancora più incomprensibile se consideriamo che gli appena conclusi europei di calcio si sono giocati entro una cornice di stadi gremiti. Evidentemente abbiamo raggiunto un livello di impazzimento globale senza precedenti, in cui si sta perdendo quella tanto decantata capacità raziocinante che ci dovrebbe distinguere dalle bestie. E se nell’antica Grecia per celebrare i giochi olimpici si fermavano persino le guerre, oggi, in questo mondo sconvolto, un virus con un basso tasso di letalità apparente è stato in grado di rimandare di un anno i medesimi giochi olimpici e di farli svolgere a porte chiuse.
A tale proposito vorrei ricordare che le splendide Olimpiadi di Roma del 1960, che furono organizzate durante il triennio dominato dalla temibile influenza asiatica, la quale in rapporto alla popolazione mondiale causò molti più morti del Covid-19, si svolsero senza alcuna limitazione, in uno scenario di pubblico tra i più suggestivi della storia sportiva
Ma erano ovviamente altri tempi. Tempi in cui il buon senso e un sano concetto di rischio calcolato prevalevano nei confronti di ogni forma di paranoia collettiva più o meno indotta. Una paranoia sanitaria che pure nel mondo dello sport ha prodotto un tale stravolgimento che, ahinoi, non ha risparmiato neppure le nostre amatissime Olimpiadi.
Claudio Romiti, 25 luglio 2021