“Too close to call”, istruzioni per l’uso: le 4 cose da sapere sulle elezioni Usa

Cresce l’attesa in vista della sfida tra Donald Trump e Kamala Harris. È possibile un risultato come quello del 2016?

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Come altra volta scritto, mentre il Partito Democratico è sostanzialmente tutto schierato dietro Kamala Harris non altrettanto accade nel campo repubblicano. È pur vero – lo sappiamo dal 2015, quando Donald Trump dichiarò le proprie intenzioni – che il vecchio Grand Old Party come allora e in qualche parte oggi rappresentato lo ha considerato e considera una specie di corpo estraneo (del resto, è un ‘maverick’), ma certamente non ha fatto quasi nulla per raccogliere i consensi di quel 30 per cento che ancora nelle Primarie gli preferiva Nikki Haley. Una parte che anche il linguaggio dal tycoon usato (certo per galvanizzare i propri adepti) ha allontanato e che ritiene difatti che certi limiti non debbano essere valicati. È questa la spada da Damocle che pende sulla testa del solo Capo dello Stato americano che pensi di poter imitare Grover Cleveland tornando ad esercitare il potere esecutivo dopo quattro anni di opposizione.

Ciò detto:

1) Quanto pesa effettivamente Donald Trump in termini di voti popolari?

Nel 2016 e nel 2020, le due sue precedenti candidature, nei sondaggi, Donald Trump è stato accreditato di un numero di voti popolari poi rivelatosi decisamente inferiore rispetto al reale. Ora, nella situazione prospettata nelle ultime ore, dalle rilevazioni fatte, lo stesso tycoon è dato alla pari con la rivale Kamala Harris. Tre le possibilità.

  • La prima: i sondaggisti hanno imparato la lezione e lo collocano, sia pure in coabitazione, in testa correttamente.
  • La seconda: in effetti, per reazione, lo hanno ‘pompato’ oltremisura e in verità è indietro.
  • La terza: anche in questa circostanza la sottovalutazione permane e di conseguenza vince nettamente.
    Vedremo.

2) “Too close to call!”

Dando per buoni i sondaggi che vedono Trump e Harris praticamente alla pari, quale la conclusione più probabile dello spoglio delle schede espresse nei seggi entro la chiusura e prima di quello concernente il voto anticipato e postale che in alcuni Stati prenderà il via subito dopo? Insomma, avremo un risultato che abbia reali possibilità di essere definitivo? Sapremo almeno quanto dovremo aspettare?
La risposta ai primi interrogativi è no, se verrà confermato nei sette Battlegrounds il serratissimo testa a testa previsto. Tanto stretto l’ordine d’arrivo (ne parlo come si fa nelle corse al galoppo in particolare) da dover esporre il cartello con scritto “too close to call’”. Avremo un vincitore all’ultimo – a meno che le rilevazioni quanto alle intenzioni di voto non siano del tutto sbagliate – un tempo non definibile, perfino qualche giorno.

3) Possibile un risultato simile a quello del 2016

Ricordate certamente il clamoroso risultato delle elezioni presidenziali USA del 2016. Allorquando Hillary Clinton stravinse (quasi tre milioni di voti popolari in più a livello nazionale) quanto a suffragi popolari perdendo la Casa Bianca per via degli Electors componenti il Collegio Elettorale conquistati in maggioranza da Donald Trump?

Orbene, guardando ai bookmakers, possibile una ripetizione quasi precisa. La quota più ricorrente considera difatti Harris nettamente (1,28 contro 3,75, addirittura) vincente nel voto federale e perdente (2,40 contro 1,61) quanto a Delegati conquistati. Nell’ipotesi, va sottolineato che per la quinta volta dal 1856 (primo confronto diretto democratici/repubblicani) il candidato democratico risulterebbe sconfitto a questo modo, cosa mai accaduta al contrario.

4) La questione fusi orari e la dichiarazione ufficiosa del risultato

L’orario di chiusura dei seggi si differenzia nei 50 Stati perché gli Usa hanno diversi fusi orari dalla costa Est sull’Atlantico alle Hawaii nel Pacifico.

I primi a chiudere a mezzanotte (l’ora indicata è quella italiana) saranno Indiana e Kentucky.
A seguire all’1 di notte del 6 novembre chiuderanno Florida, Georgia, South Carolina, Vermont e Virginia.
Alle 2, tra gli altri, arriverà la chiusura della probabilmente decisiva Pennsylvania e insieme i primi exit polls.
Alle 3 chiuderà New York.
L’Alaska alle 6 di mercoledì 6 novembre, sempre ora italiana.

È consuetudine quanto alla dichiarazione (non ufficiale, ovviamente) dei risultati Stato per Stato e poi nazionali considerare le comunicazioni al riguardo della Associated Press che ha regole precise.

Per dare un’idea della difficoltà in merito (dovendosi tenere conto del suffragio anticipato e di quello postale, si cerca assolutamente di non parlare a vanvera), nel 2020 quando si votò il 3 novembre la predetta dichiarazione arrivò quattro giorni dopo.

di Mauro della Porta Raffo, Presidente onorario della Fondazione Italia USA

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