Winston Churchill, tranchant: “Date a un idiota un briciolo di potere e ne farete un tiranno”. Ora, il lettore si sarà già convinto di dove si vada a parare: ma il lettore si sbaglia. Conte, infatti, è tutto fuorché un idiota, e non è per niente uno sprovveduto, anzi è un parvenu che ha dato prova di una capacità manovriera, di una durata rotta a tutte le malizie.
Innamorato di sé
Una mano gliel’ha data il Covid: a gennaio, stava come d’autunno sugli alberi le foglie, a ottobre è diventato una sequoia e nessuno riesce a sradicarlo, tanto più che l’opposizione sembra non averne la minima voglia. Per cui, Churchill potrebbe essere riletto come segue: “date a un vanesio un briciolo di potere e ne farete un tiranno”. Vanitas vanitatum et omnia Giuseppi. Conte si piace un sacco, si ammira, si ama, si invita a cena: è innamorato di sé. E, siccome nel mondo il 99% delle cose è politica ma il 99% della politica in fondo è egolatria, a questo segno siamo dunque giunti. Decreto dopo decreto, l’avvocato del popolo è diventato il padre della patria: con un piccolo aiuto dal nonno: Mattarella.
Finché c’è virus c’è speranza; Conte dura più dell’omino Duracell quello delle pile: quando le cose si mettono male, lui spara un altro dipiciemme, lo presenta in una conferenza stampa glamour all’ora del vespro, e tira innanzi: chi tira la cinghia, sono gli italiani, che ormai si sentono rivolgere le raccomandazioni più patetiche, tipiche dell’autoritarismo paternalista: il dovere morale, la mascherina anche al cesso, vi strangolo dolcemente ma lo faccio per voi, razza d’ingrati; e il mondo me lo riconoscerà. Apres Giuseppy le deluge.
Conte è un uomo chiamato lockdown, un supereroe dei nostri tempi: così azzimato dietro la mascherina candida, giusto un accenno di patriottico tricolore, pare il babbo marpione che telefona di nascosto alle fidanzate dei figli. Conte è il maledetto gatto di Battisti: un poeta ma per poco, giusto per un platonico ricatto, maledetto d’un premier. The show must go on: e l’one man show è lui, Giuseppi. Attualmente su tutti i social, il brandello di stoffa sotto lo sguardo che fissa l’orizzonte: “La storia mi assolverà”, sembra pensare, alla Fidel Castro. Sì, ma ce ne vorrà, perché lo sfascio che sta accumulando è colossale.
Ma i dittatori, che si piacciono sempre tanto, non si preoccupano di certo dettagli e pensano: la storia sono io, attenzione, nessuno si senta escluso. Dalla clausura. Elegante, contenuto, un po’ ironico, garbato, misterioso, interessato, imbroglione, subdolo matto: maledetto d’un premier. Fesso il mio paese, quanto ingenuo non lo so, ti vorrei avvisare ma far questo non lo so, paternalista a questo punto non divento no, potresti incazzarti, ieri a chi scrive uno ha rivolto la seguente carineria: “spero che ti muoiano tutti quelli che ti stanno vicino, ammesso che ti sia rimasto qualcuno”. Si definiva “da sempre comunista”, ma era pleonastico, non sussistevano dubbi. Chi tocca Giusy se ne pente, perché lui si siede e lavora per noi. E ci raccomanda prudenza. E, la notte, non spegne mai la luce. E non si toglie mai la mascherina. E ha sempre ragione. Un intruso? Ma chi l’ha mai detto, maledetto d’un premier.
Lockdownman
Conte è un supereroe, è Lockdownman: ha il potere di bloccare qualunque cosa, attività, comparti industriali, distretti, filiere; con un dito, calmo e sereno, neutralizza un paese pieno; gli basta un balenar di mascherina per marmificare qualsiasi essere vivente, amici, nemici e semplici conoscenti. La sua autostima si nutre di restrizioni, si specchia nelle inibizioni, si riflette nelle proibizioni al popolo sovrano di obbedire; è un uomo intelligentissimo, ma buono: “Il paese si salva se è sano”, scolpisce. Perché è il tampone che traccia il contagio, ma è la mascherina che lo difende.
Anche Giusy sa bene che “governare gli italiani non è difficile, è inutile”, e, per non sbagliare, li incamicia a forza. E potrebbe ridurre l’aula sorda e grigia del Parlamento a un bivacco di manipoli: difatti l’ha fatto. Ed è a tanto così dal proclamare affacciato al balcone: “I popoli che non amano portare le proprie mascherine finiscono per portare le mascherine degli altri”. I cinesi, nella fattispecie.
Chi si ferma è perduto e Conte non è l’imbalsamatore di un passato ma l’anticipatore di un avvenire: agli arresti domiciliari. Egli sa bene che “l’avvenire della civiltà dipende dal compito che i cinesi si assumeranno in questo secolo”. Lui li asseconda senza limiti. Non dimentica che “Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. La sovranità gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione”. Non sia mai che al popolo spetti di decidere: per questo, dopo la consueta raffica di impedimenti serali, ha concesso, magnanimo, alle regioni: se volete, potete farne anche di più severe. Conte ha in testa un’idea meravigliosa, una personalissima Costituzione in tutto ottriata: io son ciò che vi ho concesso. E un giorno mi ringrazierete, ammesso che restiate vivi.
È sempre questo il dramma, quando un uomo solo al comando, un uomo della provvidenza si convince troppo, a tutti gli altri non resta che adeguarsi: l’avvocato foggiano ci ha preso gusto e non vuole tornare nel cono d’ombra, è un influencer del concentramento, non risponde a nessuno se non a Casalino, e i suoi selfie sono già leggenda: ti conosco, mascherina, e ti obbedirò alle prime luci della ribalta. La tua, solo la tua. Le sue tricoteuses sono i virologi del comitato tecnico scientifico, le sue milizie i troll e gli scalmanati su Twitter, le sue groupie le bimbe di Conte.
C’è da stupirsi se uno non voglia tornare nell’anonimato di provincia a cavillare per quattro capponi? Perché mai accontentarsi se i capponi possono essere 60 milioni e per giunta grati? Prepariamoci dunque a sostenere questo nostro Giusy fino a Natale, Capodanno, al 31 gennaio, in un eterno ritorno dello stato d’emergenza, fino alla fine del tempo e del mondo: finché c’è Covid c’è certezza che non ne usciremo, tutti clarisse, felici e impotenti. Ma niente paura, c’è chi veglia sulle nostre notti: Lockdownman è il nostro affezionato vicino di casta. Da un grande (anzi pieno) potere derivano grandi irresponsabilità.
Max Del Papa, 9 ottobre 2020