Una notizia negativa, enorme. Una fiaccamente positiva. E la conferma, se mai ve ne fosse stato il bisogno, che la magistratura genovese ha deciso – in sostanza – che l’unico modo a disposizione di Giovanni Toti per difendersi nel processo da uomo libero è quello di dimettersi. Cioè di arrendersi. Ovvero far sì che semplici accuse mosse dai magistrati – che possono sbagliare, spesso sbagliano, e devono ancora dimostrare tutto al processo – siano sufficienti per terremotare l’indirizzo politico di una Regione. Facendone dimettere il Presidente che pure respinge ogni addebito e si dichiara innocente.
Il tribunale del Riesame ha respinto l’istanza dei legali di Toti per lasciare i domiciliari. Con questa motivazione, in estrema sintesi: “Se è stato necessario per l’indagato farsi spiegare dagli inquirenti che è vietato scambiare la promessa o l’accettazione di utilità di qualsiasi tipo con favori elargiti nell’esercizio della propria funzione pubblica… – si legge nel dispositivo – continua indubbiamente a sussistere il concreto e attuale pericolo che egli commetta altri fatti di analoga indole nella convinzione di operare legittimamente anche a prescindere da imminenti consultazioni elettorali. Ad esempio inducendo taluno a dargli o promettergli nuove utilità per finanziare il proprio movimento politico, adoperandosi per favorire un proprio grande elettore che partecipi ad una gara ad evidenza pubblica pubblica per l’aggiudicazione di un appalto per opere pubbliche e così via…”.
L’avvocato di Toti, nel rispondere alla porta sbattuta in faccia dal Riesame, ha tenuto a precisare che il governatore “ha più volte ribadito” di “ritenere di aver agito solo nell’esclusivo interesse pubblico attraverso gli atti e i comportamenti inerenti alla carica ricoperta”. Così come legittimi sono stati i finanziamenti ricevuti. Secondo i giudici, però, seppur tracciati, i finanziamenti sarebbero comunque illeciti. “Se è pacifico che sollecitare finanziamenti a un movimento politico sia un comportamento del tutto lecito, è di palmare evidenza che concordarne l’erogazione in cambio di favori direttamente incidenti sulla posizione del finanziatore integra una forma di corruzione in quanto trasforma l’erogazione liberale…. nel prezzo per l’esercizio di poteri e funzioni del pubblico ufficiale”.
La magistratura fa il suo lavoro, ed è normale che sia cosi. Ma se al momento abbiamo solo la parola dei magistrati contro quella dell’indagato (neppure imputato), dovendosi ancora celebrare il processo, perché costringere un politico alle dimissioni oggi per poi magari scoprire – quando sarà troppo tardi – che aveva ragione lui e si sbagliavano i pm?
L’ipocrisia italiana è massima. Abbiamo eletto Ilaria Salis per liberarla da un processo che riteneva ingiusto e teniamo gli arresti un uomo che, allo stesso modo, ritiene palese “l’inconsistenza delle accuse mosse”.
A nulla è valso, evidentemente, il parere di Sabino Cassese. Il quale, da grande costituzionalista qual è, riteneva eccessive le misure cautelari agli arresti per Toti. Non sono bastate neppure le memorie depositate dall’avvocato Savi.
Secondo il Tribunale del Riesame, cioè giudici che si qui non si erano mai occupati del caso, sussiste ancora il pericolo di reiterare il reato. Ma la forma che sta prendendo la detenzione preventiva per Toti ha tutti i connotati del processo alle intenzioni. I giudici “presumono”, in sostanza, che al ritorno al potere Toti si metta automaticamente a violare la legge. E non uno specifico reato, ma genericamente metterebbe a disposizione il suo ruolo a vantaggio di determinati privati.
Eppure le carte dell’inchiesta dimostrano che non vi fosse alcuna “sistematicità” nel collegamento tra donazioni e interventi di Toti, senza considerare che gli atti contestati erano tutti leciti e realizzati in conformità alle leggi, peraltro mai né istruiti né approvati da Toti, il quale non ha firmato neppure una carta, ma da altri soggetti tecnici e politici.
Inoltre Toti, anche volesse, non potrebbe tecnicamente più reiterare un bel niente. Il Porto di Genova, infatti, è stato commissariato e le pratiche Esselunga, l’altra grande accusa oggetto dell’inchiesta, si sono concluse con esito positivo. Insomma: anche qualora volesse, e fosse così idiota da mettersi a commettere reati con i fari della procura e della stampa puntati addosso, Toti non potrebbe reiterare ciò che gli viene contestato.
Perché allora resta in carcere? L’idea di fondo della procura, confermata dal Riesame, sembra essere che con la sua carica Toti potrebbe commettere “altri” reati con soggetti diversi da Spinelli&co. Ma questo, come sostiene giustamente il legale, “appare come un pregiudizio o un processo alle intenzioni” che renderebbe impossibile “in perpetuo” la scarcerazione di Toti. Il quale, è giusto ricordarlo, fino a prova contraria è innocente e non può ad oggi esercitare pienamente i suoi diritti politici.
L’unica nota lievemente positiva riguarda l’inquinamento delle prove, uno dei tre motivi per cui la legge permette la carcerazione preventiva. Per i giudici di Appello non sussiste più il rischio che Toti possa alterare presunte prove di un presunto reato avvenuto anni fa e su cui la procura ha indagato per mesi e mesi. Per questo è possibile che la difesa decida nei prossimi giorni di proporre nuove istanze circa misure cautelari meno afflittive. Perché in gioco c’è anche il futuro della Regione. Gli avvocati procederanno a chiedere ulteriori incontri politici autorizzati dalla procura – come avvenuto nei giorni scorsi – per permettere di definire il quadro politico e decidere come muoversi. Il governatore chiederà anche di poter comunicare con la stampa, visto che “tale diritto di espressione non può confliggere con il rischio di inquinamento probatorio, dichiarato non più sussistente, e non attiene al rischio di reiterazione del reato”.
di Franco Lodige, 11 luglio 2024