Siamo all’ennesima narrazione, ad un’altra tragicommedia, per non dire farsa: Alessandro Di Battista, per intenderci il grillino della prima ora, sta valutando un suo ritorno in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. Proprio così: dopo esserne stato tra i maggiori precursori, per poi averlo abbandonato in protesta all’alba della scelta pentastellata di partecipare al governo Draghi, ecco che i grandi amori fanno un giro immenso, ma poi ritornano sempre. E quello di Di Battista ne risulta essere un esempio lampante.
Il Dibba rivoluzionario
Peccato che la realtà degli anni scorsi si scontra con quella di oggi. Sin dall’inizio, “Dibba” è stato tra i pionieri dell’uscita italiana dalla moneta unica. Erano gli anni in cui i manifesti grillini rappresentavano due mani legate, con il motto “fuori dall’Euro”, intendendo ovviamente il vincolo di Bruxelles. E ancora: fu tra i primi sostenitori dei vaffa, dei Parlamenti da aprire come scatolette di tonno, dei movimenti di centrodestra e di centrosinistra da spazzare via, in quanto sinonimi di clientelismo, corruzione e di tutte le peggiori nefandezze da Mani Pulite in poi.
Ma appunto, dicevamo, sono altri anni, un’altra storia, un altro racconto. Il Di Battista di un anno e mezzo fa, quello che lasciò il partito perché non digeriva alcune forze che sostenevano l’esecutivo, è solo un lontano ricordo. Oggi, si accontenta di un movimento che si è rimangiato qualsiasi suo cavallo di battaglia, ad eccezione del Reddito di Cittadinanza, che è sceso a compromessi con Draghi ed il Partito Democratico, che si è trasformato dall’antisistema per eccellenza al sistema vero e proprio, per antonomasia.
Evidentemente, non esiste più neanche il Di Battista rivoluzionario, quello che, nel 2013, scendeva in piazza per raccogliere le firme di presentazione della lista alle politiche di quell’anno, a fianco di Simone Di Stefano, ai tempi leader di CasaPound Italia.
Il ritorno del grillismo
Ma, appunto, sono altri anni, un’altra storia, un altro racconto. Eppure, nonostante le miriadi di contraddizioni e cortocircuiti che riguardano il M5S, il Che Guevara italiano pare voler mantenere gli stessi toni di un decennio fa: “Il peccato originale della politica è quello di intenderla come una professione, mentre per me invece è un servizio a tempo limitato”. E aggiunge: “Io non sono disposto a prendere anche tanti soldi e privilegi per rinunciare alla libertà, a determinate idee e alla mia totale indipendenza”.
La domanda sorge spontanea: la scelta di ritornare in un partito, lasciato un anno e mezzo fa, totalmente riformato e lacerato dalle sue fondamenta, cosa può essere, se non proprio una rinuncia “alla libertà, a determinate idee e alla mia totale indipendenza”? L’interrogativo è grande come un elefante in una stanza. Vedremo se Dibba riuscirà a darci una risposta convincente. Altrimenti, la seconda soluzione sarebbe quella di conformarsi al sistema, così come hanno fatto Grillo, Conte, Di Maio, Taverna e chi ha più ne metta. Noi, umilmente, un’idea ce la siamo già fatta: guarda caso, segue proprio quest’ultima strada.
Matteo Milanesi, 24 luglio 2022