Assoluzione, assoluzione, assoluzione. Chissà se basterà ripeterlo tre volte. Certo è che la sentenza di ieri della Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha scritto una pagina importante della storia di questo Paese. Una pagina che archivia definitivamente 25 anni di teoremi sulla fantomatica trattativa Stato-Mafia in merito alle stragi del 1992-’93.
Gli ex ufficiali dei Carabinieri Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni sono stati assolti perché il “il fatto non costituisce reato”. E con loro pure l’ex senatore Marcello Dell’Utri per “non aver commesso il fatto”. Per buona pace di tutti i manettari grillo-fattoidi che per anni hanno cavalcato la tesi che ci fossero pezzi deviati dello Stato collusi con la mafia e che avevano avuto un ruolo determinante pure nell’uccisione di Falcone e Borsellino. Niente di tutto questo. Una sentenza non scontata vista la pesante condanna in primo grado che gli ex vertici dei Ros e Dell’Utri avevano incassato nel 2018. Ma la Corte d’Assise, presieduta da Angelo Pellino, dopo tre giorni di camera di consiglio, ha ribaltato tutto, confermando soltanto le condanne ai mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà.
Fine di un lungo incubo. Fine della gogna mediatica che per anni ha messo sulla graticola i migliori servitori dello Stato che questo Paese potesse avere. Mori, Subranni e De Donno, protagonisti in prima linea della lotta alla mafia, autori della cattura del boss Totò Riina, d’un tratto si sono ritrovati ad essere associati a quello stesso mondo mafioso che per una vita hanno combattuto e in gran parte annientato. Un elemento che già da solo dimostrava fin da subito l’assurdità di tutto l’impianto accusatorio.