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Tre motivi per i quali i sindacati non hanno nulla da festeggiare

Come sempre avviene il primo maggio, i sindacati si impossessano della festa del lavoro. Li capiamo: grazie alla retorica del primo maggio, viene garantito il lavoro. Il loro, quello dei sindacalisti.

Ecco tre motivi per cui non c’è nulla da festeggiare. E soprattutto quando parlano è bene sapere chi rappresentano.

1) Il declino numerico dei sindacati. Abbiamo cercato i numeri ufficiali sui siti dei tre principali sindacati. E per loro ogni anno è un’emorragia. Per la Cgil i dati, che abbiamo trovato, sono riferiti al 2015, per gli altri due al 2016. La Camusso nel 2015, secondo un documento interno, avrebbe perso 700 mila iscritti. A fine anno si sono perse per strada circa 200mila tessere. Il totale fa 5,4 milioni, di cui la metà pensionati.

La Cisl (dati 2016) ha 4 milioni di iscritti di cui poco meno della metà pensionati (1,8 milioni). La Uil (dati 2016) ha 2,2 milioni di iscritti, di cui attivi solo 1,36 milioni. In sintesi, i tre sindacati perdono ogni anno consenso e circa metà dei loro iscritti non lavora.

2) I sindacati, come si vede nelle tabelle pubbliche, sono relativamente forti sul lavoro dipendente con punte nella pubblica amministrazione (uno su due è iscritto), ma debolissimi sui nuovi lavori e sui giovani.

In Italia la disoccupazione giovanile è più alta della media europea ((1,9 milioni di giovani tra i 25 e i 34 non ha lavoro, pari al 26 per cento contro una media europa del 15 per cento), e i nuovi lavori (atipici) hanno tassi ridicoli di sindacalizzazione.

Secondo una ricerca dell’Università di Bari il 95% dei giovani di un campione rappresentativo di studenti (15-20 anni) sa cosa sia il sindacato e il 75 per cento ha escluso il proprio impegno diretto in uno di essi. Il nuovo mondo non parla la lingua della Camusso.

3) I loro clamorosi fallimenti nel proteggere anche le categorie che dovrebbero essere più protette.

a) 2010 caso Pomigliano. La spaccatura tra Cgil e Cisl e Uil su referendum Marchionne. Landini (cgil) diceva che i due sindacati avversari si comportavano da sindacati gialli collusi col padrone. Il referendum alla Fiat di Pomigliano alla fine passò. Oggi ha ripreso ad assumere, fare investimenti, ridotta la Cig e la Fiom avrebbe perso (fonte Cisl) la metà dei suoi iscritti.

b) 2016 caso Almaviva. Il giudice del lavoro con una sentenza ha scritto che le divisioni all’interno della Cgil hanno cagionato la rottura della trattativa con l’azienda e il licenziamento di 1666 dipendenti. Nella filiale di Napoli dove le rappresentanze sindacali sono state unite sono stati mantenuti gli 800 posti di lavoro.

c) 2017 caso Alitalia. I tre sindacati confederali hanno sponsorizzato un referendum, che la stragrande maggioranza dei dipendenti ha bocciato, avviando l’azienda verso l’amministrazione straordinaria.

Ma chi rappresentano davvero Cgil, Cisl e Uil? La Camusso ha detto il primo maggio del 2017 sul Fatto che “la gente non è più rassegnata alla flessibilità”. Sbaglia la gente, i giovani, i lavoratori contemporanei conoscono la flessibilità.

I dirigenti sindacali, al contrario, non conoscono la flessibilità: vivono, nascono e finiscono la propria carriera nel sindacato. O in Parlamento.

Nicola Porro, 1 maggio 2017