Prendendo a prestito un’espressione del vernacolo toscano, dopo le incaute dichiarazioni del segretario generale dell’Onu, riprendono pigolo i sinistri giustificazionisti pro Hamas, attribuendone almeno in parte le atrocità commesse al contesto locale, legato all’eterna rivalità tra israeliani e palestinesi.
Ebbene, a tale proposito, a beneficio soprattutto dei confusi, vorrei riportare i passaggi salienti di un ottimo intervento, nel corso di Omnibus in onda su La7, di Roberto Arditti, direttore editoriale di Formiche. Si tratta, a mio avviso, di una analisi piuttosto lucida che allarga decisamente il campo di osservazione, sgombrandolo da tutta una serie di pregiudizi ideologici che impediscono di comprendere la vera posta in gioco nel conflitto scatenato da Hamas e dai suoi mandanti sempre meno occulti.
“Il 27 settembre – ricorda l’ex direttore de Il Tempo -, cioè 10 giorni prima la spaventosa giornata del 7 ottobre, per la prima volta nella storia un ministro del governo di Israele era in Arabia Saudita, per un evento organizzato dalle Nazioni Unite. È atterrato ed ha interloquito con i suoi omologhi del governo dell’Arabia Saudita. Un fatto storico, a cui segue 10 giorni dopo, con un tempismo scelto non casualmente, l’eccidio di quella giornata. Ora, tu mi chiedi – rivolgendosi al conduttore – quanto fosse la parte dialogante del mondo arabo l’obiettivo di tutto ciò: è l’obiettivo fondamentale di questa storia. Tant’è che l’Arabia Saudita, che con tutte le sue contraddizione di un Paese che però sta cambiando, aveva avviato ed ha avviato un percorso la cui portata è esplosiva per il mondo islamico. Perché se l’Arabia Saudita – sottolinea Arditti -, che è la nazione custode dei luoghi più sacri dell’Islam, trova un agreement internazionale con Israele, cade qualunque motivazione in qualunque altra nazione, con la popolazione a prevalente o a totale religione islamica, per non fare la stessa cosa.
La portata del dialogo del dialogo Israele – Arabia Saudita è di tale rilevanza per tutti coloro i quali vogliono altro e prosperano sulla guerra e sul fatto che la popolazione a Gaza deve soffrire”.
Insomma: “Il primo nemico del popolo palestinese – sostiene Arditti, raccogliendo una opinione ancora troppo poco sostenuta in Occidente – è Hamas. Un nemico molto peggiore di Israele”.
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Criticando una certa cecità europea ed occidentale, il nostro ha poi aggiunto: “Vorrei ricordare che i vertici politici, di intelligence e militari di Hamas sono fuori di Gaza, e vivono protetti e ospitati in varie nazioni, a cominciare dal Qatar. Ovvero lo stesso Paese nei quali, noi purtroppo non c’eravamo, siamo andati a giocare i mondiali di calcio. Cioè, dobbiamo capire che anche verso Hamas non basta e non serve soltanto una certa reazione dell’Europa, degli Stati Uniti e di Israele, ma servirebbe molto altro rispetto alla doppiezza di registro politico dimostrata nei confronti della crescita di Hamas”.
Arditti ha poi concluso “ricordando che nel 2007, quando si consuma lo scontro interno alla élite politica palestinese, tra il gruppo più legato all’Autorità nazionale e la nascente forza di Hamas, che era andata molto bene alle elezioni – meglio a Gaza che in Cisgiordania- : vince Hamas a Gaza, vince questo scontro interno, facendo nella struttura del partito avversario un numero di morti che è tra i 300 e i 500. In sostanza, l’intero vertice dell’Autorità nazionale palestinese a Gaza è stato eliminato fisicamente”.
A questo punto, affermando che mi trovo in totale sintonia con il pensiero di Roberto Arditti, vorrei chiudere l’articolo ponendo la seguente domanda ai vari sostenitori, vicini e lontani, del dialogo ad oltranza con Hamas: siete ancora sicuri che con queste persone sia possibile sviluppare una trattativa, visto che neppure i loro fratelli palestinesi sono stati risparmiati dai loro metodi, per così dire, un tantino cruenti?
Claudio Romiti, 26 ottobre 2023