Trocchia-Giudice, l’ipocrisia di Formigli che s’indigna solo per La Russa Jr

Il doppiopesismo del conduttore di Piazzapulita sulla vicenda dei giornalisti indagati

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Formigli Trocchia Giudice

Queste divagazioni da pochade della coppia Giudice-Trocchia, fatalmente da fine estate, sono di una noia asfissiante, da erotismo languido tardottocentesco, puro decadentismo letterario che la mai abbastanza rimpianta Terza Internazionale, ma perfino il comunismo democratico all’italiana, sapeva all’occorrenza punire da par suo in odore di deviazionismo borghese. Di tanta tediosa mestizia, invece, una cosa colpisce a volercela trovare: è la disinvoltura da tassì, su un vecchio taxi, ti strapazzo, ti strapazzo se vuoi, l’indifferenza con cui questi due si spupazzano la ragazzotta stordita, lui che chiede il permesso a lei perché tra la piccola borghesia progressista l’educazione è tutto, e almeno questo è certo, lo raccontano loro.

Come se il taxista non fosse esistito, niente più che intelligenza artificiale, il sommo disprezzo, classista se si vuole, per quello che li scarrozza e assiste ma tanto è un miserabile che vota Meloni, uno che non esiste, uno dei milioni in transito verso l’imbuto della storia che li inghiotte. Ecco, questo a pensarci un po’ disgusta, il te lo facciamo vedere noi come si vive, ed è la solita faccenda dei post comunisti, sempre un po’ comunisti: fate quel che diciamo non quel che facciamo perché quello che facciamo voi bigotti, voi reazionari, voi comprimari della storia non ve lo potete permettere. Nel modo ostentato di quelli che fingono rispetto e aprono ogni discorso con “a tutte e a tutti”, con la dovuta spocchia e la disinvoltura di chi lo fa per abitudine, roba normale nel milieu che pensa bene, che si preoccupa delle ingiustizie climatiche e sessuali, quelle sociali meno perché non fanno più mercato, i sottoproletari ormai votano a destra.

Nei casi di pochade progressista con annessa orgia di giustificazioni e di comprensioni dalla colleganza amica, il riflesso della stampa non complice, non solidale, pochissima, è immediato e immutabile: “Ah, immaginatevi fosse successo a ruoli invertiti, ah, ricordate cosa scrivono quando la presunta aggressione viene da uno di destra”. Ma è esattamente la trappola che cercano questi dalla morale cubista di sinistra: non nascondono l’imbarazzo perché non provano imbarazzo, anzi si direbbe lo facciano per gesto etico-estetico, per poter ribadire certa impunità morale. Perché di questa si parla: concludere per la violenza dopo un paio di slinguazzate spartite in taxi e probabilmente neppure negate dalla vittima pare obiettivamente azzardato, ma poi guardateli questi due: vi sembrano predatori di ragazzine stonate, due vampiri del sesso? Con quelle faccette da pubblicità dei cambiamenti climatici?

La tesi dello stupro, diciamolo pure serenamente, non regge più di quanto non reggessero le accuse retrospettive della Asia Argento che ci metteva vent’anni per scoprirsi concubina di un potente che la faceva lavorare, purtroppo, a Hollywood. Pagliacciate che alla fine, ci voglia il tempo che ci vuole, si strangolano da sole come diverticoli della coscienza. Qui invece si discute dell’arroganza di chi usa sollazzarsi alla maniera un po’ triste di quelli che hanno più suggestioni che fantasia, si fanno una doccia e la mattina dopo si sparano un bel pippone gesuitico su analoghi sollazzi da quelli che non sono come loro e che loro tengono in fama di orchi, di mostri, le sentenze morali prima di quelle giudiziarie. E anche questo ben venga se trapela: è la solita dimostrazione di diversità, di potere che sostanzia l’impunità etica ossia la lezione del nobile compagno Berlinguer, che conoscendo i suoi polli comunisti non si sognava affatto di crederli migliori perciò gli offriva la via d’uscita retorica, insistete che noi siamo i migliori perché siamo impuni, siamo le vestali della morale spicciola e controlliamo il gioco della comunicazione moralistica.

Difatti subito le truppe cammellate dei giornali amici, quasi tutti, le interviste che ricordano un po’ quelle professoresse indulgenti che agli studenti prediletti dicevano “raccontami quello che vuoi”. Ecco la chiacchierata, non chiamiamola intervista, di Selvaggia Lucarelli sul Fattoquoque tu, Travaglio!, seguita, oggi, da una curiosa altra intervista de la Verità, autrice del misfatto, proprio al direttore del giornale più forcaiolo al mondo, valle un po’ a capire queste trame dell’informazione; ma gli fanno dire che la Russia è buona, che per sconfiggere il Putin lo debbono lasciar vincere a suon di bombardamenti, così da quelle parti sono contenti tutti e, col pretesto della pace nel mondo, fanno la pace nel piccolo mondo dell’informazione sgusciante. Anche il soccorso rosso della Lucarelli va visto in controluce, non rileva per le scemenze moralistiche, il vittimismo strategico da “pretendo le scuse”, “l’eccesso di conformismo” per dire quella filistea alla fine si vergognava e si è tirata indietro.

Quindi la vergogna è la sua, ma no, quello che colpisce, anche in questo caso, è il sussunto: noi siamo chi siamo, siamo tutta ‘na famiglia, virtuosa, tutta una razza progressista e tra di noi gli scrupoli, le cautele vanno bene, qui non ci sono insignificanti pizzaiole lodigiane da dare in pasto, da andare a sfruculiare fin nei peli del culo o di una recensione farlocca su un social, su questa gente anonima, indifesa, indifendibile si può andar giù piatti in ossequio all’informazione che non guarda in faccia nessuno, sull’ape regina che dà il permesso al marito di guardare, di assaggiare, si ostenta il rispetto tra simili, quelli che sanno come si vive e lo dimostrano. È, in filigrana, la solita esibizione di un potere binario, noi possiamo e voi no: potere reale, millantato, non importa, conta l’ostensione di queste volatili e un po’ patetiche sindoni del peccato, per metterla nel modo letterario.

Ma che c’è di più letterario, per non dire paraculo, delle alluvionali, diuretiche intemerate di Corrado Formigli di un anno fa sul caso Apache La Russa? “[Gnazio] (…) a sua volta impelagato nella vicenda del figlio Leonardo Apache, accusato di aver violentato una ventenne a casa sua. All’indomani della denuncia della ragazza, La Russa padre l’ha attaccata per aver sniffato cocaina e ha assolto il figlio in via diretta e senza dibattimento, dopo averlo “interrogato”. Padre, avvocato, infine giudice. Uno e trino, alla faccia della separazione delle carriere invocata per giudici e pm. Manca giusto il presidente del Senato. Ma quello, si sa, da mesi è sepolto sotto il comune senso della decenza”.

Così, tutto d’un fiato, a panza scoperta, ostentata. Poi vai a leggere la conversazione da thè con Lucarelli e trovi che sulla pochade tassinara, parole della Giudice stessa, Formigli, il suo capo a La7, debitamente informato, si dimostrava “comprensivo e paterno”. Paterno come ‘Gnazio o di più? Ma che gli fa? Questi sempre in sella a cavalcare “in tutte le direzioni”, fiaccola della morale in mano. C’è una cosa che preme a questa Giudice e l’amica Lucarelli gliela tira fuori, anzi gliela suggerisce, proprio come una professoressa solidale: insinuare che la porcata de la Verità arrivi adesso per sabotare il passaggio della “vera vittima” da la7 alla Rai. Può darsi, può essere benissimo andata così, però è la conferma che a questi di sinistra, gonfi di spocchia auto-garantista, quello che preme è la carrierina. “Non è mai per soldi: è sempre per soldi”. Dice questa Giudice che non può rinunciare al grottesco di chi si piglia sul serio “usque ad nauseam”: ah, noi siamo scomodi, io sono scomoda, sono boicottata per il mio lavoro a Piazzapulita, lavoro etico, di sinistra “e ne vado orgogliosa”.

Scusasse, ma non è la stessa di cui circolano per i social foto programmatiche, lei avvinghiata a Berlusconi? Cos’è? Era un altro momento? Una che non era lei? Se invece è proprio lei, ci precisasse il confine tra una coscienza intemerata di sinistra e una qualsiasi olgettina da sputtanare, da azzannare. Ce lo tracciasse questo confine, perché, sarà colpa nostra, sarà un nostro limite di non comunisti moralisti, ma davvero non riusciamo ad orientarci, fatte salve certe sfumature, diciamo così, estetiche. La pochade da tassì, una bella doccia alla coscienza e la mattina di nuovo a stridere col gessetto sulla lavagna dei buoni e i cattivi. Ma davvero certa gente ancora dà retta a certa gente?

Max Del Papa, 31 agosto 2024

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