Continuiamo con la speciale zuppa di Porro straniera. Grazie ad un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, che parla diverse lingue, legge molti giornali stranieri e soprattutto li capisce, rileggiamo un editoriale del New York Times che critica il nuovo approccio nella politica commerciale di Donald Trump.
In un editoriale del New York Times di sabato 9 marzo la direzione del quotidiano sfotticchia Donald Trump perché sarebbe concentrato essenzialmente a vendere a Xi un po’ di soia prodotta nel Midwest americano, cercando così una vittoria fragile rispetto a una difesa strategica degli interessi commerciali a lungo termine degli Stati Uniti.
Il presidente aveva creato, riconosce il quotidiano newyorkese, l’opportunità per modificare regole di competizione con Pechino largamente ingiuste, e tutto ciò grazie all’imposizione di nuove tariffe: la situazione era positiva, l’economia cinese è in difficoltà, quella americana no, e gran parte del mondo ha riserve sulla politica stategico-commerciale della Repubblica popolare. Ma la Casa bianca sta sprecando questa chance inseguendo il suo elettorato e cercando risultati che gli consentano di dichiarare un effimero trionfo (temporanei aggiustamenti sostanzialmente cosmetici della bilancia commerciale) piuttosto che ottenere risultati strutturali: sugli aiuti statali cinesi alle loro imprese, sui furti di tecnologie, su l’abrogazione di leggi di Pechino per il lavoro e l’ambiente che finiscono per proteggere le imprese indigene, su regolamenti del Wto che impongano l’applicazione degli accordi bilaterali e multilaterali.
Verso Pechino Trump dovrebbe costruire uno schieramento multilaterale che imponga nuove regole, non cercare “favori” che vanno a detrimento di altre nazioni (tipo la produzione di soia brasiliana) che finiscono per incrinare il consenso verso Washington.
Gli argomenti di questo editoriale mostrano con tutta evidenza i limiti di un’impostazione astrattamente multilateralista sposata dai liberal della East coast: l’idea che si possano costruire accordi cogenti sulle regole senza curare una salda base sociale nazionale che li difenda, la convinzione che si possano costruire schieramenti per contenere le pratiche commerciali ingiuste di Pechino senza creare prima equilibri internazionali, la pretesa che siano le istituzioni multilaterali a risolvere illuministicamente le questioni centrali di questa epoca.
È bene criticare rozzezze e propagandismi delle pratiche trumpiane, ma è catastrofico per gli Stati Uniti trascurare (spesso a causa di un odio politico sfuggito di mano a gran parte dei media Usa) gli elementi di buon senso politico e di solido realismo che ispirano le mosse dell’attuale Casa Bianca.