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Trump, chi non ci aveva capito un fico secco oggi ci fa la lezioncina

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Da giorni non faccio che leggere le analisi sulla vittoria di Donald Trump. Due di queste, ieri, mi hanno fatto pisciare da risate, e scusate l’orribile locuzione ma non esiste altro termine quando leggo certe cose. Chi poteva mettersi a scrivere e ad analizzare la vittoria del tycoon? Chi aveva osservato cosa succedeva in America? Chi si era fatto un giro nei luoghi in cui Trump ha vinto senza limitarsi a frequentare solo Washington, Los Angeles, San Francisco, Boston e New York dove ha vinto la Harris? Chi aveva pensato di andare oltre il Democratic National Congress a Chicago guardando che cosa si pensava nei fortini Trump? No. A scrivere delle elezioni Usa sono quelli che vi spiegano tutto dall’alto degli errori che loro stessi hanno commesso in tutta la loro vita giornalistica.

Parlo dei pezzi di Antonio Polito sul Corriere della Sera e Paola Peduzz sul Foglio. Che è un po’ come se io andassi da Federer e gli spiegassi come fare una smorzata. Federer direbbe: ‘Va beh, sì, ho capito, ma magari prima cerca di vincere un torneo e poi mi spieghi come si fanno le smorzate, no?’. Invece oggi quelli che fino a ieri non ci avevano capito niente, niente del fenomeno Trump, niente di chi avrebbe vinto, nulla di quello che succedeva in America, vogliono spiegarci perché è successo.

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Bene. Sapete perché ha vinto Trump, secondo Polito? Perché “ha parlato la lingua dell’ottimismo”. Porca vacca, che analisi intelligente! Non ci avevamo pensato. Ma perché noi questa cosa non l’abbiamo detta un mese fa sottolineando che il motto “Make America Great Again” funzionava eccome? L’hanno preso per il culo per anni e adesso mi spiegano l’ottimismo è stata una delle sue carte di successo. Complimenti Polito, bravo!

Ma la cosa più bella è l’incipit del pezzo della Peduzzi. Racconta che era andata alla festa elettorale di Kamala Harris (complimenti: avevi capito già tutto su chi potesse vincere) e quando deve tornare a casa cerca un taxi, trova un tassista sudanese che le chiede se davvero ha vinto Trump. E lei, sconcertata, risponde “con il mio animo deluso” (perché se l’elmetto lo indossano i giornalisti di destra sono dei faziosi, se lo ganno a sinistra sono nel giusto) di sì. E il tassista? Beh, lui tutto compiaciuto risponde: “È quello che io ho votato”. Ma questo è il giornalismo sofisticato del Foglio?Io vorrei leggere Langone tutti i giorni, l’unico trampiano del Foglio.

Il tassista peraltro non rappresenta assolutamente nessuno, il tassista che riporta la cronista a casa non rappresenta assolutamente nessuno. Trump ha vinto in tutta l’America e ha vinto non solo tra i tassisti sudanesi, che per la verità hanno tutto il diritto di pensare a un mondo diverso rispetto a quello che gli hanno garantito fino ad oggi, ma in tutta una grande fascia di classe media americana che di New York, Boston, San Francisco, dove gli rompono i coglioni sul gender, se ne sono sbattuti le palle.

dalla Zuppa di Porro