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Trump contro la Fratellanza musulmana. Scelta necessaria o azzardata?

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Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

David D. Kirkpatrick  inviato a Londra, e già capo dal 2011 al 2015 della sede del suo giornale al Cairo, ha scritto sul New York Times del 10 maggio un articolo approfondito sulla Fratellanza musulmana e il proposito dell’amministrazione Trump di equipararla a un gruppo terroristico. Kirkpatrick spiega come “i fratelli” siano in Kuwait, almeno a parole, filo americani. In Iraq collaborino con un governo sostenuta da Washington, e in Yemen lottino contro i ribelli sciiti. Definirlo terrorista come fa Donald Trump significherebbe sfidare un gruppo fondato in Egitto nel 1928 con ramificazioni in tutto il mondo dal Marocco all’Indonesia e, a parte Hamas, non impegnato direttamente in azione terroristiche ed essenzialmente pro-democrazia. I leader della Fratellanza replicano agli americani sostenendo di essere seguaci di “un’idea” che non può essere trattata come un’organizzazione tanto meno terroristica. Diversi esperti americani di Medio Oriente ritengono che sarebbe dannoso impegnarsi in una guerra con un movimento sostanzialmente ideologico-religioso di tal fatta, ben diverso da al Qaeda o dall’Isis, intimamente legato con il partito di Recep Erdogan al potere in Turchia.

Tutti gli argomenti dell’inviato del NYT sono rilevanti ma il nocciolo della questione è se stiamo vivendo una fase in cui il mondo può cercare con molta calma gli equilibri necessari per un suo sviluppo pacifico, o se il momento richiede scelte rapide e incisive per evitare guasti peggiori. Si deve valutare se far crescere il fondamentalismo turco, tollerare il sostengo iraniano a guerre lungo tutto la Mezzaluna fertile dal Libano alla Siria, dall’Irak allo Yemen, se lasciare sopravvivere la palude nella quale cresce il terrorismo sunnita, o se appoggiare apertamente un’Arabia saudita che dice che i musulmani devono tornare ai loro orientamenti moderati degli anni ’50, un Abdel al Sisi che predica nella grande facoltà teologica alAzhar del Cairo come bisogni riformare l’idea di jihad, un Mohamad VI re del Marocco che vuol rivedere la Sharia, i giovani islamici indonesiani che vogliono aprirsi alla modernità, i liberali turchi che resistono alla dittatura.

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