Negli Stati Uniti pare profilarsi il congedo dalla White House di Donald Trump. Il vantaggio di Joe Biden si consolida e, a meno di colpi di scena dell’ultimo momento, il verdetto elettorale dovrebbe riconsegnare ai Democratici la guida della più grande potenza mondiale. Tuttavia, se l’uomo Trump dovesse concludere il suo mandato, la sua eredità potrebbe continuare ad esercitare un’influenza sull’orientamento politico dei Repubblicani che non hanno alternative performanti al suo carisma.
Inoltre, l’attrazione che ha esercitato sulle classi medio-basse e sulle minoranze etniche rappresenta un fattore inedito per i Repubblicani che non possono permettersi di sottovalutare, rischiando di rinunciare ad una fetta rilevante della loro nuova constituency. Il trumpismo può rappresentare un indirizzo politico destinato ad incidere nella contrapposizione tra i due blocchi partitici statunitensi. Senza Trump probabilmente i Democratici avrebbero optato per un candidato più connotato a sinistra, mentre l’esigenza di mitigare la polarizzazione ideologica ha suggerito di affidarsi, strategicamente, ad una figura come Biden che potesse intercettare parte dell’elettorato repubblicano. Trump è riuscito ad isolare la componente socialista, imponendo agli avversari di scartare alternative estreme alla Sanders.
In questi mesi i sondaggi hanno accreditato un vantaggio irrecuperabile in favore di Biden, ma gli elettori hanno confutato le analisi predittive di una macchina informativa che, per manipolare l’elettorato, ha proposto profezie fondate sul pregiudizio, anziché previsioni poggiate su dati oggettivi. L’oggettività avrebbe dovuto riconoscere a Trump, almeno nella fase pre-Covid, i successi sul fronte interno ed internazionale. La riduzione drastica della disoccupazione e della pressione fiscale sono elementi non trascurabili per formulare un giudizio imparziale sull’Amministrazione targata Trump ed il voto in crescita riconosciutogli dalle minoranze, afroamericana ed ispanica, sono inoppugnabili attestazioni di fiducia che smentiscono l’irrancidita retorica accusatoria di xenofobia e razzismo. In ambito internazionale a Trump va attribuito lo storico successo dell’accordo fra Israele e i paesi del Golfo, che contraddice il ritratto guerrafondaio dipinto dalla spocchiosa élite culturale. Nessuna guerra è stata dichiarata dagli Stati Uniti durante il mandato di Trump che, a differenza dei suoi predecessori, ha privilegiato la diplomazia e ridimensionato la presenza dell’Us Army in Iraq da circa 5.200 a 3.000 uomini. Trump voleva colpire la Cina tramite la Russia, Biden probabilmente manterrà una posizione critica con il Dragone ma privilegiando la sponda europea.