Secondo fonti americane, sarebbe iniziata ufficialmente la controffensiva ucraina, che si incentrerà in particolare sulle regioni di Zaporizhzhya e Bakhmut, con l’obiettivo di ripristinare la propria sovranità sui territori perduti a partire dal 24 febbraio 2022. L’obiettivo successivo (e mai nascosto) di Zelensky, però, sarebbe quello di procedere ad un attacco in Crimea, proprio a partire dalla regione della centrale nucleare e arrivare fino al Mar d’Azov. In questo modo, la resistenza ucraina sarebbe in grado di “isolare” la penisola, i cui unici rifornimenti russi potrebbero arrivare via mare o tramite il ponte di Kerch (che gli ucraini hanno già mostrato di poter attaccare, come dimostrato dal sabotaggio all’infrastruttura di qualche mese fa).
Nel frattempo, il Pentagono sarebbe pronto all’invio di un nuovo pacchetto militare a Kiev, per una somma pari a 2 miliardi di dollari. “Ho parlato con il segretario Blinken. Gli Stati Uniti ci stanno aiutando a mitigare le conseguenze del disastro di Kakhovka causato dalla Russia. Ci siamo anche concentrati sugli aiuti militari. Gli Usa continueranno gli sforzi per fornire più armi e munizioni”, ha scritto su Twitter il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, riferendosi alla telefonata intercorsa con il segretario di Stato americano Antony Blinken.
Cooperazione sino-cinese
Una decisione che arriva contestualmente all’ulteriore rafforzamento dell’alleanza militare tra Cina e Russia, dove in mattinata il capo del dipartimento di stato maggiore congiunto della Commissione militare centrale cinese, Liu Zhenli, e il suo omologo russo, Valery Gerasimov, hanno avuto una videochiamata, durante la quale “hanno scambiato opinioni sull’approfondimento della cooperazione tra i due eserciti”. L’obiettivo sarà quello di invitare Mosca a partecipare “a un ciclo di esercitazioni militari organizzato dalla parte cinese”, denominato Northern Joint-2023.
Una cooperazione che certifica, per l’ennesima volta, l’ambiguità estera cinese, che ha cercato sin dall’inizio di farsi portatrice di un ruolo di mediazione tra i due belligeranti, ma senza aver mai condannato esplicitamente l’invasione russa. Una cooperazione, appunto, che non può piacere ai membri dell’alleanza atlantica, che in mattinata hanno fatto sorvolare i propri jet (un Typhoon e un Gripen, di produzione britannica e svedese) dopo aver intercettato due aerei di cognizione russi, un Su-27 e un Il-20, mentre volavano nei pressi dello spazio aereo Nato e svedese.
“Gli aerei russi non hanno rispettato le norme internazionali ma sono rimasti nello spazio aereo internazionale e hanno volato in modo corretto”, ha riportato la Raf, specificando però che si è trattato di un’azione “di routine” dell’Occidente, nell’ambito dell’operazione Baltic Air Policing, ovvero l’operazione Nato di pattugliamento aereo nel Baltico.
“Truppe Nato in Ucraina”
Ed è proprio nelle zone del Baltico che potrebbero verificarsi scenari difficilmente immaginabili (almeno fino ad oggi). Cruciale è stata l’intervista dell’ex segretario generale della Nato, Anders Rasmussen, il quale ha dichiarato che alcuni Stati dell’alleanza, in particolare Polonia e Baltici appunto, sarebbero pronti ad intervenire direttamente nel conflitto a fianco dell’Ucraina, schierando le proprie truppe sul campo di battaglia. Una fonte del Cremlino ha poi detto che un eventuale intervento “porterà a uno scontro militare diretto tra il blocco e la Russia. Ovunque si verifichi, un tale scontro potrebbe avere le conseguenze più gravi per il mondo intero”.
Per approfondire:
- Controffensiva ucraina, ecco dove può portare. Per la Nato l’ora delle scelte
- Ucraina, così cambia la guerra: Putin costruisce un bunker a Mosca
- L’Ucraina attacca Mosca. Qual è la nuova strategia di Zelensky
Uno scenario (ovviamente) di difficile, se non di impossibile applicabilità. Ma che mostra in modo chiaro e tondo una polarizzazione all’interno della Nato. Da una parte, la posizione più attendista e ambigua, capeggiata dall’Ungheria di Orban; in mezzo, l’orientamento prevalente, ovvero quello americano e dell’Ue, di sostegno a Kiev ma “senza aver firmato un assegno in bianco”; ed infine quello più “radioattivo”, favorevole all’intervento diretto a fianco di Zelensky, i cui portatori sono proprio Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania. Minimo comune denominatore sono comunque le forniture da inviare, che fino ad oggi hanno trovato il consenso unanime di tutti gli Stati dei Paesi atlantici. E sulla base di questo, Zelensky è pronto all’inizio della controffensiva che potrà rivelarsi fatale per gli esiti della guerra.
Matteo Milanesi, 9 giugno 2023