Il termine per pagare la prima rata dell’Imu, alla fine, è trascorso senza che il Governo – come ormai noto – abbia disposto alcuna misura per venire incontro alle esigenze dei milioni di proprietari interessati: né un rinvio, né – tantomeno – una riduzione o un’esenzione. Gli italiani hanno dovuto affidarsi alla buona volontà dei Comuni, i quali in alcuni (pochi) casi hanno deciso di rinviare di qualche mese la data del versamento ovvero di assicurare la non applicazione di sanzioni e interessi in caso di ritardo.
Vedremo, non appena saranno disponibili i dati della riscossione, in quanti avranno versato e in quanti non saranno riusciti a farlo. Certo, l’aver ignorato la gravosità di questo adempimento fiscale in un periodo di così grave difficoltà per famiglie e imprese resta una grave mancanza dell’Esecutivo.
Peraltro, si continua a perseverare nell’errore di pensare che si possano drenare indefinitamente risorse liquide dal settore immobiliare senza che vi siano effetti esterni sul resto dell’economia italiana. E invece gli effetti ci sono, in virtù del fatto che nel corpo dell’economia i diversi organi sono collegati e si influenzano a vicenda. In particolare, ci si riferisce agli effetti del calo dei prezzi degli immobili – caratteristica che distingue l’Italia rispetto agli altri Paesi europei – sui consumi delle famiglie, sull’edilizia e sui comparti ad essa collegati, sulle garanzie reali detenute dagli istituti di credito, sui propositi di dismissioni immobiliari degli immobili pubblici.
Al proposito, è piuttosto peculiare come vi sia molta enfasi sull’inflazione troppo bassa, e ancor di più sui periodi di deflazione dei prezzi a motivo degli aspetti macroeconomici e monetari di ciò, mentre la politica economica e il dibattito pubblico in Italia sono pressoché assenti rispetto al tema della deflazione immobiliare e delle sue rilevanti conseguenze economiche. Fenomeno che si aggiunge a quello – per nulla trascurabile – dello stock di immobili completamente usciti dal mercato, essendo divenuti incommerciabili sia sul fronte della compravendita sia su quello della locazione.
Tornando all’Imu, ricordiamo qualche numero, per tentare di scalfire i cuori dei più riottosi.
– Il gettito annuale dell’imposta è pari a circa 22 miliardi di euro (dato Istat). Il 16 giugno è stata versata la metà dell’importo dovuto. Nel 2020, considerando anche la seconda rata da pagare il 16 dicembre, il peso della patrimoniale sugli immobili raggiungerà – dal 2012, anno della sua istituzione con la manovra Monti – la cifra monstre di 205 miliardi di euro (ma non ditelo all’onorevole Bersani, che in tv si è molto infastidito per questo dato).
– L’Imu è dovuta persino per gli immobili inagibili e inabitabili, sia pure con base imponibile ridotta alla metà. Eliminare – almeno – questa forma di tassazione particolarmente odiosa costerebbe solo 57 milioni di euro.
– Tra il 2011 e il 2018 (ultimi dati dell’Agenzia delle entrate disponibili), gli immobili ridotti alla condizione di ruderi (i cosiddetti immobili “collabenti”) sono raddoppiati, passando da 278.121 a 548.148 (+ 97%). Si tratta di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo o, addirittura, per effetto di atti concreti dei proprietari finalizzati ad evitare almeno il pagamento dell’Imu.
– Secondo l’Istat, tra il 2010 e il 2019 i prezzi delle case sono diminuiti di quasi il 25%, unica eccezione nell’ambito dei Paesi europei, tutti con prezzi in crescita. Peraltro, in molte zone d’Italia si registrano diminuzioni ben superiori e non si contano i casi di valori azzerati per effetto dell’assenza di acquirenti. Si tratta di una contrazione del risparmio privato stimabile in almeno 1.300 miliardi di euro.