Politica

Tutte le balle degli anti-liberisti

Gli statalisti di stampo grillino usano da anni la spesa pubblica come strumento privilegiato per acquisire consensi

Consiglio caldamente a tutti i becero keynesiani di questo disgraziato Paese di leggersi la sconvolgente (non per me che lo segnalo da decenni) articolo di Luigi Marattin, pubblicato su queste pagine. I numeri e grafici riportati dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che la tesi della prolungata austerità italiana, che secondo chi la sostiene sarebbe causata dalle cosiddette politiche neo-liberiste, rappresenta una delle più colossali e perduranti balle che circolano nella vita politica italiana.

Balla sesquipedale che, sul piano politico, serve a giustificare la necessità di allargare i confini della già esorbitante spesa pubblica, puntellando tale propensione con tutta una serie di argomenti capziosi, come quello del mitico avanzo primario – ossia la spesa al netto del costo degli interessi sul debito – o della ricchezza patrimoniale degli italiani, in buona parte immobiliare, che ci autorizzerebbe a politiche di spesa pubblica ancor più audaci. Ora, senza entrare nel merito dei dati esposti con grande efficacia da Marattin, vorrei solo esprimere alcune considerazioni di massima su quanto da egli rilevato.

In primis, come spesso mi diceva il compianto amico Giulio Savelli, se è vero che la tendenza storica ad estendere il controllo della sfera politica sulle risorse rappresenta un portato di tutte le democrazie avanzate, è altrettanto vero che l’Italia si trova da decenni ai vertici della tendenza ad usare la spesa pubblica come strumento privilegiato per acquisire consensi. L’ex sindaco di Milano, l’ottimo Gabriele Albertini, definì molto sagacemente “democrazia acquisitiva” tale, nefasta tendenza.

Soprattutto in Italia, nel quale, contrariamente al costume dei cosiddetti Paesi frugali, è abbastanza scarsa l’attenzione della cittadinanza circa chi dovrà poi pagare il conto di una spesa sociale allegra, per così dire, l’interazione tra elettori e classe politica ha costantemente indotto quest’ultima ad adottare, con varie sfumature di colore, linee di intervento concreto fondate sull’illusione dei pasti gratis.

Una linea di spesa chiaramente in eccesso che alla maggior parte degli stessi cittadini comuni apparirebbe estremamente azzardata, se non folle, nel loro ambito personale, ma che sul piano pubblico sembra risultare loro coerente e ragionevole, come è accaduto a quella enorme massa di persone che, nel 2018, hanno mandato al governo una compagine di scappati di casa che proponeva ricette che si sono poi rivelate catastrofiche per la tenuta dei conti pubblici. In estrema sintesi, tutto ciò crea un panorama politico nel quale i soggetti in competizione, volenti o nolenti, tendono ad essere un po’ tutti keynesiani, nel senso più banale del termine, per un semplice e comprensibile tornaconto elettorale.

Basti pensare che, riprendendo spunto dalle performance programmatiche del Movimento 5 Stelle, i grillini cercarono addirittura di spacciare in Europa il famoso e famigerato reddito di cittadinanza, con tanto di navigator al seguito, sotto il capitolo degli investimenti. Sta di fatto che, in questo quadro, adottare una proposta velatamente rigorista sul piano dei conti pubblici risulterebbe abbastanza fuori mercato dal lato del consenso.

Tuttavia, come in parte sembra che stia cercando faticosamente di fare l’attuale esecutivo di centrodestra, ad esempio tamponando l’enorme falla del Superbonus 110% di matrice giallorossa, nell’interesse di tutti appare sempre più necessario riportare la politica entro i confini della fattibilità e, in particolare, della sostenibilità del sistema economico-finanziario. Tutto questo con la chiara consapevolezza che prima o poi, di fronte a politiche di spesa azzardate, la realtà il conto lo porta a tutti. L’impennata inflazionistica, che ha duramente colpito i ceti più poveri e da cui non siamo ancora usciti del tutto, sta lì a dimostrarcelo.

Claudio Romiti, 6 marzo 2024

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