di Carlo Cauti
Il recente divieto di voli diretti ed indiretti dal Brasile, deciso dal governo italiano a causa della cosiddetta “variante brasiliana”, fornisce l’occasione per realizzare un’analisi comparativa della gestione della pandemia di Coronavirus tra Italia e Brasile.
Divieto voli dal Brasile, misura inutile
In primo luogo, l’ordinanza firmata e rinnovata dall’ormai ex-ministro della Sanità, Roberto Speranza, non ha molto senso sotto un profilo pratico. Di fatto, da aprile 2020 non esistono più voli diretti tra Italia e Brasile, dato che la compagnia aerea cileno-brasiliana Latam li aveva interrotti e mai ripristinati, mentre Alitalia non li effettuava più con regolarità. Mentre nel caso dei voli indiretti, le compagnie aree europee che continuano a volare sul Brasile l’hanno sonoramente ignorata, così come avevano fatto con analoga ordinanza del primo semestre del 2020 (chi scrive è rientrato in Italia da San Paolo del Brasile in quel periodo senza alcun tipo di impedimento o controllo).
Se da un punto di vista pratico questa decisione non ha senso, appare dubbiosa anche la sua valenza sotto un profilo epidemiologico. Nei primi giorni di febbraio 2021, il Brasile ha registrato circa 9 milioni di casi di coronavirus mentre l’Italia circa 2,6 milioni. Poiché l’Italia ha circa 60 milioni di abitanti, il tasso di contagio è di circa 40 casi ogni mille abitanti, praticamente identico a quello del Brasile (210 milioni di abitanti).
Considerando quindi l’inutilità di queste misure, dopo circa un anno dall’inizio della pandemia è possibile tirare le somme degli effetti del Coronavirus sulla popolazione, sull’economia e sulla politica di entrambi i paesi. Mentre l’Italia ha decretato più volte lockdown e zone rosse durante il 2020, in Brasile tutto è rimasto sostanzialmente aperto, tranne alcune eccezioni come discoteche o stadi. E – a differenza di quanto erroneamente riportato dalla stampa italiana – non si è trattato affatto di una scelta del presidente Jair Bolsonaro. Secondo la Costituzione, infatti, il governo federale, e quindi il presidente della Repubblica, non ha il potere di imporre lockdown, poiché si tratta di una competenza dei governatori dei singoli Stati componenti la Federazione. Ebbene, i governatori statali non hanno avuto né la forza né la volontà di decretare la chiusura totale. Ciò perché fin da marzo 2020 in tutto il Brasile si sono susseguite massicce manifestazioni popolari settimanali. Pacificamente, ma in maniera incisiva, i brasiliani hanno fatto capire ai governatori che la popolazione non era a favore di alcuna limitazione di libertà.
Nonostante l’assenza di lockdown, il Brasile ha registrato un minor numero di morti, in proporzione alla popolazione, rispetto all’Italia.
Brasile e Italia, dati a confronto
In numeri assoluti, dall’inizio della pandemia, l’Italia ha registrato circa 90 mila decessi, mentre il Brasile circa 225 mila. Di nuovo, considerando che la popolazione italiana ammonta a circa 60 milioni di persone, l’Italia ha registrato 1,5 vittime ogni mille abitanti, posizionandosi quindi al 5º posto al mondo tra i paesi più colpiti, mentre il Brasile, con poco più di 1 decesso ogni mille abitanti, si colloca appena al 23 posto di questa triste classifica. E non si può neanche accusare il governo brasiliano di sottostimare il numero di decessi, dato che la registrazione dei morti, realizzata dai cartorios, notai locali indipendenti dal potere pubblico, è obbligatoria per legge, e liberamente consultabile su internet . Nel 2019 sono decedute in Brasile 1.260.735 persone, mentre nel 2020 1.449.038 persone. Durante tutta la durata della pandemia il Brasile non ha quindi limitato in alcun modo la libertà dei suoi cittadini, registrando proporzionalmente un minor numero di vittime rispetto all’Italia e ottenendo migliori risultati sotto il profilo economico.
Nel 2020 il Prodotto interno lordo (Pil) italiano si è contratto dell’8,8%, mentre le previsioni per quello del Brasile indicano una riduzione tra il 4% e il 5%. Per avere un’idea, interi settori produttivi, come l’industria, chiusi in Italia nei primi mesi della pandemia (nonostante non siano focolai di contagio), in Brasile hanno continuato ad operare normalmente. Così come ristoranti e bar, che non hanno mai abbassato le serrande per lunghi periodi come nel nostro Paese, ma hanno continuato a lavorare applicando regole di distanziamento e igienizzazione.
Covid-19, le misure del governo Bolsonaro
Sotto il profilo sociale, immediatamente dopo l’inizio della pandemia il governo Bolsonaro ha varato una serie di iniziative per evitare che la pandemia avesse un impatto devastante sulla popolazione. La più importante delle quali è l’ausilio emergenziale. Il pagamento di 600 reais per ogni cittadino che avesse dichiarato un reddito inferiore alla no tax area nell’anno fiscale 2019, potendo arrivare a 1.200 reais nel caso di madri nubili. La richiesta andava realizzata attraverso una app, dove veniva immediatamente controllata la veridicità delle dichiarazioni attraverso dati incrociati con l’Agenzia delle Entrate locale. E il versamento è avvenuto direttamente su un conto corrente virtuale creato ad hoc. La platea dei beneficiari dell’ausilio emergenziale è stata di circa 85 milioni di persone. Quasi la metà dell’intera popolazione brasiliana, e più di tutta la popolazione della Germania. I versamenti sono avvenuti puntualmente ogni mese (a differenza della cassa integrazione italiana, che ha accumulato e continua a registrare ritardi intollerabili), durante tutta la durata del 2020, riducendo progressivamente il valore negli ultimi mesi dell’anno.
Per comprendere l’impatto di questa decisione basti pensare che il reddito medio da lavoro in Brasile è di circa 1.500 reais. Quindi il governo ha garantito tra il 40% e l’80% del reddito ai lavoratori in difficoltà. Il più grande piano sociale della storia del Brasile, costato il 5% del Pil, e paradossalmente varato da un governo di destra. Superiore anche al tanto propagandato Piano “Bolsa Famiglia” creato dall’ex presidente Luiz Inácio “Lula” da Silva, del Partito dei Lavoratori (PT), che assorbiva solo lo 0,5% del Pil. Dettaglio non irrilevante: il Brasile non ha mai decretato il blocco dei licenziamenti, a differenza dell’Italia e della vicina Argentina. E la disoccupazione non è aumentata sensibilmente nel 2020.