Tutte le balle sui “cattivi” di Visegrad

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Le riflessioni del mondo culturale conservatore, la cospicua produzione editoriale e accademica degli ultimi anni, l’attività di intellettuali, pensatori, accademici, giornalisti, per promuovere idee e valori alla base del conservatorismo, si scontra nell’Europa occidentale con difficoltà crescenti a causa di una società sempre più influenzata dalle idee post-illuministe e sessantottine e da un contesto politico che da un lato tende a demonizzare qualsivoglia idea ascrivibile al conservatorismo e talvolta dall’altro, da parte dei partiti più affini a quest’area politico-culturale, a non comprendere l’importanza di una riflessione basata non solo sull’immediatezza del dibattito politico ma su piattaforme programmatiche e valoriali a medio-lungo periodo.

Sembrano averlo capito i governi dell’est Europa; Andrzej Zybertowicz, consigliere del Presidente polacco Duda, ha rilasciato un’intervista a Repubblica intitolata “Cari illuministi avete perso, ora tocca a noi” che i politici nostrani di centrodestra dovrebbero leggere e appendere nel proprio studio.
Partiamo da un presupposto. È necessario superare la narrazione del blocco di Visegrad composto da paesi avversari dell’Italia e governati da partiti che osteggiano gli interessi italiani. Essendo in Ungheria e Polonia al potere governi di destra, è normale abbiano a cuore i propri interessi nazionali ma non per questo osteggiano o contrastano le aspirazioni delle altre nazioni europee.

Il problema semmai è la politica estera italiana che non è in grado di costruire un serio e strutturato legame con il blocco di Visegrad in funzione alternativa allo strapotere Franco-tedesco. Prendiamo il caso del Recovery fund. Sebbene in un primo momento fossero emerse delle rimostranze da parte dei paesi del blocco di Visegrad, in realtà oggi le resistenze non provengono più dall’est Europa. L’Ungheria si è detta pronta a collaborare (a onor del vero anche in fase iniziale aveva avanzato delle riserve solo di carattere tecnico) e anche Polonia e Slovacchia hanno dato semaforo verde. Nonostante la propaganda di Conte, sono proprio i partiti europeisti olandesi, svedesi e danesi (oltre al conservatore Kurz per l’Austria) ad opporsi.

Non c’è poi più grande errore di analizzare la politica e gli stati dell’Est Europa con i criteri dell’Europa occidentale. Non dimentichiamoci che fino a qualche decina di anni fa Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, si trovavano sotto la dittatura comunista. I cittadini di queste nazioni sanno cosa significa vivere privati della libertà e conoscono in prima persona i mali dell’ideologia comunista a cui in Occidente in tanti a sinistra continuano a strizzare l’occhio. Proprio per questa ragione, gli Stati dell’est Europa sono alla ricerca di un modello alternativo di società sia a quello comunista sia a quello liberal e globalista verso cui sta sprofondando ogni giorno di più l’Europa occidentale e che ha nell’Unione europea il proprio emblema politico.

Una società intrisa di materialismo, riduzionionismo, relativismo a cui opporre una visione conservatrice del mondo basata sui valori dell’identità nazionale e locale, sulla religione cristiana, sull’importanza degli aspetti spirituali della vita, sulla centralità della comunità, sulla solidarietà, sulla legalità, sulla meritocrazia piuttosto che sull’egualitarismo, tutto il contrario delle idee postilluministe.

Per invertire il paradigma in atto nelle decadenti società occidentali, è necessario ripartire dalla scuola, dalle università, dal mondo della cultura per poi arrivare alla politica che deve essere in grado di recepire e concretizzare le battaglie nate dal mondo intellettuale. In molti paesi dell’est Europa ciò sta avvenendo, e in Italia?

Francesco Giubilei, 20 giugno 2020

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