Siamo abituati alle cose più improbabili, perfino più ignobili: forse è per questo che sempre meno ci scandalizziamo degli eccidi di Hamas o di chi trucida a vario titolo inermi: più l’inerzia, l’apatia della coscienza che il sentimento di disgusto per ciò che siamo diventati. Siamo assuefatti alla decomposizione della nostra democrazia di matrice liberale, occidentale, garantista e ne portiamo la mortificazione nelle cose grosse come negli spettacolini miserevoli o almeno miserelli, da minima immoralia, tipo il guitto ligure, Beppe Grillo, ricevuto alla corte di Fabio Fazio: un comico in disarmo che fonda una setta, poi se ne chiama fuori, ma continua a farsene stipendiare, ne dispone, e va in televisione a vantarsi in forma paradossale: sono il peggiore, ho distrutto tutto, ho peggiorato l’Italia. Questo è certo, ma il fatto è che Grillo come al solito se ne attribuisce il merito prendendo in giro non solo chi ancora ha ritegno, quanto anche, se non principalmente, chi gli ha creduto.
Vede giusto Vittorio Feltri nel suo nuovissimo “Fascisti della Parola”: la setta grillina, partita come schiettamente populista, del genere anticasta, si è immediatamente divorata nella casta e nel populismo postcomunista, che è il peggiore. E tutto questo ci è parso normale, come ci sembra normale che nel salotto mediatico di un conduttore specialista in palanche e vittimismo si tentino le larghe intese, “il campo largo” come lo chiama Conte, che Grillo considera un famiglio da spesa, una nullità da tener lì. Dopo averlo mandato a fare il presidente del Consiglio – “ho rovinato l’Italia” – nella fase più critica per il Paese, quello che ha trasformato una democrazia incerta in una negativa, che a colpi di dpcm, il cui abuso era eversivo, ha fatto strage dei diritti costituzionali, sotto l’ombrello del capo dello Stato. Con lui è partita l’operazione disinformativa sui vaccini che prevedeva menzogna, illusione, ricatto, infine malattia e grave malattia (chi scrive, lo fa con cognizione di causa).
Tutto normale? Normale un guitto irrancidito, invecchiato, che di sé dice, o finge di dire: sono rincoglionito, non so più niente, ho guastato il Paese però l’ho salvato con l’ecologia e con l’idrogeno? Qui, al Che tempo che fa, il network è cambiato ma la musica è la stessa: si usa un programma, una rete, si usa il groviglio di impresari e di poteri per tentare le solite misture, insomma Conte e Schlein si fidanzano politicamente sì o no? Presto, che è tardi! Siccome il gioco è questo, e Fazio è Fazio, e Grillo, il vecchio e vagamente lugubre istrione, è considerato alleato, uno che può sbloccare la faccenda, non sono previsti barlumi di domande. Invece a noi, per dire, piacerebbe molto chiedere quali sono i veri rapporti di un ex comico con la Cina, dalla cui ambasciata egli può entrare e uscire a piacimento; con l’Iran, sempre difeso, e chissà se solo per le origini della consorte o se eventualmente c’è dell’altro; come mai, quando c’è da difendere una dittatura, sia venezuelana, russa, cinese, iraniana, da ultimo palestinese con la macelleria di Hamas, c’è sempre gente nell’orbita della setta che distingue, “contestualizza” e, in definitiva, appoggia: come mai le Ipazia, gli Orsini, financo i Di Battista, questo turista per caso, questo miracolato da centro sociale, possono arrivare ad esporre tesi aberranti in tutta serenità, perfino pagati per questo, invitati per questo.
Poi ci sarebbero altre questioni, per esempio come si possa decentemente passare dall’odio per il “PD menoelle”, “partito dei pedofili, dei ladri, degli zombi”, a un partito col quale andare al governo, “perché adesso il PD è una cosa diversa”, garantivano Travaglio e Scanzi, figuratevi, Scanzi, il Fusaro degli intrattenitori televisivi.
Altre cose mai capite, che sarebbe interessante chiedere, anche dando per scontato che i buffoni non danno risposte serie, sincere: quali furono i reali presupposti di questo assurdo movimento, votato per allegria, per rabbia, per senso d’irresponsabilità, per abissale ignoranza, che si risolveva in un pateracchio di elementi scippati da diverse dottrine in pretesa di illuminismo e rivoluzionarismo, senza un ordine, una logica, una coerenza, da cui le continue contraddizioni, l’impossibilità di raggiungere una sintesi omogenea, la mancanza di un programma organico? Chi imboccava Grillo, gli metteva in bocca di volta in volta i presocratici, Platone, il comunitarismo egualitario seicentesco, Hobbes, il giusnaturalismo inglese, l’indipendentismo americano, il separatismo basco, il razzismo biologico, il roussoianismo al pesto, il socialfascismo, la critica alla liberaldemocrazia da destra e da sinistra, i francofortesi, il kulturpessimismus, in una maionese postideologica impazzita (e inutilmente scomodata).
Si poteva pescare tutto e il suo contrario dai vaneggiamenti di Beppe. Il Leviatano grillino era invertito, non riportava la trascendenza all’immanenza ma procedeva al contrario. E Giuseppe Piero Grillo, da Genova, non era un improbabile epigono di Rousseau, a dispetto di una sgangherata (e menzognera) allusione quale “uno vale uno” o dello svilimento del ruolo del Parlamento in luogo di una democrazia di cittadinanza diretta. I grillini mandati alle Camere, ed ivi subito inchiavardati, incluso il rifiuto degli scontrini e del limite del doppio mandato, questi risvolti li ignoravano, a loro bastava ubriacarsi dei concetti di un Mangiafuoco fuori controllo che infine assiste al suo capolavoro politico, lo sfacelo rivendicato, vantato. Annunciato. Così fa un guitto, che ha messo in piedi una colossale buffonata.
Quello che contava per i liguri Fazio e Grillo era alla fine, ed è, una sola cosa. Quella cosa: le palanche. Possibilmente mettendoci dentro la difesa surrettizia del figlio, con qualche allusione all’avvocato leghista Giulia Bongiorno. E poi si rotolano in terra, si contorcono per La Russa, questi avventurieri ex populisti diventati perbenisti da sagrestia, familisti amorali da piccola borghesia?
Una questione di palanche, altro che democrazia. Una volta al potere, gli emissari del santone l’hanno divorata, la democrazia. E avrebbero fatto di peggio, senza provvidenziali elezioni, ritardate oltre la decenza da Mattarella. Adesso questo va dal compare a prendersi in giro per prendere in giro? No, non ci sta bene. Che poi qualcosa di vero ci sia, la senescenza, il fallimento danaroso ma umiliante, è qualcosa che sta nell’ordine delle cose e dell’anagrafe. Se si pensa che un Michele Serra, in fama di testa pensante del varietà di mandato piddino, arriva, mentre una Corte inglese fa fuori una bambina malata, a rompere le palle con l’elogio della “vita che ci circonda, quella di migliaia di figli di immigrati che non sono al centro di nessun caso mediatico” (cioè non rompono con una neonata torturata e spenta perché imperfetta…) ma che “studiano qui, lavorano qui e pagano le tasse qui (sic!), parlano italiano spesso meglio di alcuni deputati” (di destra, naturalmente) e “saranno loro a pagare le nostre pensioni e la nostra sanità (sic!)”: ecco, conclude Serra, una vera scelta pro-life. E qui, non resta che constatare, con mestizia, che il pensiero appare traballante, slegato, disarmonico come un braccio rotto. Perché anche la mente si può fratturare, e ieri, da Fazio, ne abbiamo avuto più dimostrazioni, agghiaccianti, una appresso all’altra.
Max Del Papa, 13 novembre 2023