Liberilibri

Tutte le facce del popolo

Ovunque vai, qualcuno evoca un popolo. A messa o allo stadio, in guerra o in tivù, sopra e sotto palchi e pulpiti. Lo vedo coi miei studenti: anni fa popolo era parola vaga di chi non sapeva, oggi è parola ricorrente di crede di sapere. “Che popolo?”, domando.

Per chi, come me, studia l’America Latina, il popolo è pane quotidiano. In spagnolo è sia il luogo sia chi ci abita: una cosa sola. Un indizio? Un tempo speravo che l’Europa facesse scuola, che dal popolo spuntasse un dì la persona. Macché, si sono invertiti i ruoli. D’altronde la storia va di qua e di là, ad ogni età di primato dell’individuo risponde un’età di primato del popolo. O viceversa. A noi come ai nostri avi cent’anni orsono tocca la seconda. Abbiamo dimenticato il popolo, tuonano a “sinistra”, fanno eco a “destra”. “Che popolo?”, domando. Conscio che chi invochi oggi l’individuo e faccia le pulci al popolo è come chi dinanzi a Torquemada dubitava di Dio. Ma individualismo, diceva un saggio, non è sinonimo di egoismo, è il contrario di collettivismo, anticamera di totalitarismo. Che fare, dunque?

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Profilassi. Detesto le metafore organiche, il popolo organico è il mio nemico. Ma l’uso apposta: questo libricino, intitolato semplicemente Popolo, è di uso profilattico. Nel senso che volete. Cosa offre e cosa cela questa parola che colma bocche e gonfia petti? Cosa fu e cos’è? Cosa fa e cosa vuole? Da Atene e Sparta a Washington e Pechino, da Platone e Aristotele a Laclau e Popper, le idee di popolo si riducono grosso modo a due: il popolo uno e il popolo plurale. Lo so, gli schemi binari sono rozzi e manichei. In realtà né l’uno è così monista né l’altro così pluralista, gli idealtipi son belli a dirsi ma inesistenti in natura. Vero. Ma non si può nemmeno spaccare sempre il capello in quattro, disquisire sull’acqua liscia o gassata. Per cui ripeto: sono due. Quali? Come?

Il popolo uno è caldo e naturale, omogeneo e tribale, protettivo e identitario. È un popolo sacro, eletto, è il popolo di Dio. Il popolo plurale è freddo e artificiale, caotico e diseguale, cinico e indifferente. È un popolo profano, qualsiasi, è il popolo costituzionale. A prima vista non c’è gara, viva il primo e abbasso il secondo. Così va spesso, infatti. Ma i canti di sirene fanno schiantare le barche, le buone intenzioni portano dritto all’inferno. Il popolo sacro sacrifica la parte al tutto: è uno! Una patria, una fede, un popolo. Come fosse un corpo vivente ama e odia, soffre e gioisce, muore e uccide. Uccide chi minaccia l’unità! L’unità del popolo parziale erettosi a popolo totale, del popolo padrone del monopolio del bene. In nome di Dio o patria, classe o etnia, fede o ideologia, onestà o misericordia, arcobaleni o suprematismi. Il popolo uno ci ama in cambio di amore incondizionato: è il popolo del populismo, né liberale né democratico.

E il popolo profano? C’è nulla di più antipatico? Di più gelido e scostante? Di meno paterno e rassicurante? Non è un corpo vivo. È una cosa astratta, un patto politico, un matrimonio d’interesse, un contratto davanti a un notaio. Non ha nome né volto, non t’ama né t’odia, non ha fede né la chiede. Invoca la legge, uguale per tutti! Tutto qui. Niente tamburi, pochi inni. Ma che vantaggi! Già, perché il popolo profano siamo ognuno allo stesso modo, ossia nessuno in particolare. Nessuna parte ha alcun monopolio per elevarsi a tutto. E’ il popolo plurale! Il popolo democratico e liberale.

Tempi duri per chi ci crede, per chi tollera e pazienta. Per chi al meglio preferisce il bene, all’armonia perfetta l’equilibrio precario, all’omogeneità la diversità. Ma sarei fiducioso. Spaventati dalla frammentazione nel popolo cerchiamo riparo. Ma così tanti e frammentati sono ormai i popoli che nessun popolo parziale può ascendere a popolo totale. Meglio di niente, no?

Liberilibri, 6 luglio 2023