Dichiarazioni choc

Tutte le folli tesi della sinistra sul caso Roccella

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contestazione roccella

Sul caso di Eugenia Roccella è stato detto tutto e il contrario di tutto. Anzi: spesso la realtà dei fatti è stata stravolta per far passare i censori della libertà di parola in martiri del governo che, a detta loro, limiterebbe il diritto al dissenso. Quello che è successo è ben chiaro, soprattutto a chi al Salone del Libro di Torino era presente (leggete qui il racconto di Corrado Ocone). Il ministro per la Famiglia era stata invitata a presentare il suo libro quando un gruppo di attivisti femministi e ambientalisti ha iniziato a gridare slogan, a disturbare, a mostrare scritte a favore dell’aborto e della pillola abortiva. Contestazioni legittime, che però si sono protratte nel tempo trasformandosi in censura bella e buona: la Roccella, nonostante l’invito ai contestatori a discutere nel merito delle questioni, è stata impossibilitata a parlare ed è stata costretta a lasciare la kermesse. Il tutto mentre il direttore del salone, Nicola Lagioia, definiva “legittima e pacifica” la protesta degli attivisti senza condannare apertamente il fatto che con la loro azione stavano impedendo ad un’autrice di presentare il proprio libro.

Il giorno dopo ci si sarebbe attesi una presa di coscienza da parte anche della sinistra, politica e intellettuale, di quanto era successo. Invece no. Sono iniziati i distinguo: c’è chi ha accusato la Roccella di fare del vittimismo; chi ha spostato l’attenzione sulle critiche rivolte da Augusta Montaruli a Nicola Lagioia: chi ha parlato addirittura di “problema del governo col dissenso”, dimenticandosi peraltro la storia politica della famiglia Roccella. Per non citare Roberto Saviano, ormai la macchietta di se stesso. Abbiamo raccolto qui alcune delle folli dichiarazioni della sinistra sul caso Roccella per mostrare in che modo si stanno arrampicando sugli specchi, e tutto per difendere alcune associazioni movimentiste (da Fridays for future e Extincion Rebellion, fino ad arrivare a Non una di meno) non si sa bene perché.

  • Matteo Orfini (Pd): “In democrazia le contestazioni ci stanno. Anche dure e sbagliate nei modi. È capitato a tutti noi di subirne e non è un dramma. La cosa grave avvenuta non è la contestazione, ma la reazione allucinante e intimidatoria della Montaruli. Quando ti urlano contro durante una contestazione hai tre opzioni: – chiedere un confronto civile ai contestatori (non sempre disponibili) – continuare a parlare tra le urla (che poi, inevitabilmente, cessano) – smettere, darla vinta ai contestatori e andartene. La prima opzione la scegli se praticabile (dipende molto dai contestatori). A me è capitato in alcune occasioni e ne è nato un dialogo anche proficuo. La seconda opzione è la più normale. Lo abbiamo fatto tutti tante volte, di destra e di sinistra. Dai tempi del liceo direi. Sono certo che è capitato spesso anche a Giorgia Meloni. Non ne abbiamo mai fatto un dramma. La terza, cioè andare via, è una scelta che o è dettata da motivi di ordine pubblico (rischio di violenza, decisamente non il caso di Torino) o da ragioni puramente politiche. Ovvero scegliere il vittimismo. Ed è esattamente quello a cui assistiamo da due giorni. Dirlo significa giustificare la contestazione? No. Non sono metodi piacevoli né civili. Ma sono assolutamente fisiologici in democrazia. Sarebbe assai peggio una società in cui non puoi contestate il potere. Perché allora tutta questa indignazione? Da parte della destra perché appunto il vittimismo conviene e perché forse soprattutto nel partito della Meloni non c’è la abitudine ad essere ‘il potere’ e quindi a essere contestati”. Forse Orfini non si è accorto che: a) Roccella ha chiesto il dialogo e gli attivisti si sono rifiutati; b) le urla sono andate avanti per ore; c) non era un comizio in piazza con altoparlanti, ma una kermesse in un padiglione. Le condizioni per proseguire non c’erano. Ma certo: Roccella è la vittima, come no.
  • Elly Schlein (Pd): “In una democrazia si deve mettere in conto che ci sia il dissenso , sta nelle cose non riguarda mica solo chi sta al potere. Noi siamo per il confronto duro, acceso ma è surreale il problema che ha questo governo con ogni forma di dissenso”. Molto peggio, dice Elly, l’attacco della Montaruli al Lagioia: “Non so come si chiama la forma di un governo che attacca le opposizioni e gli intellettuali ma quantomeno mi sembra autoritaria”. Quindi un ministro non riesce a parlare e quello “autoritario” sarebbe il governo?
  • Luca Sofri: “Tutti indignati senza sapere niente, comunque. Roccella poteva benissimo parlare, in uno stand aperto circondato da altri stand e visitatori, compresi quelli che protestavano. Ha preferito il vittimismo, l’arma di questi tempi, ma nessuno le ha “impedito” niente”. Impedire è altro”. Ovvio: “Poteva benissimo parlare” mentre quelli intonavano canti, battevano le mani e tutto il resto. Quindi “impedire” per Sofri cosa sarebbe, picchiare duro?
  • Roberto Saviano (tuttologo): “In realtà questi ministri e politici sono venuti qui a provocare, non ribaltiamo la verità. Le parole di La Russa e Sangiuliano e le parole della ministra Roccella sono vere e proprie provocazioni e quindi la contestazione entra in questa dialettica. Anche quello dell’utero in affitto è un tema che non va demonizzato ma regolamentato. Regolamentazione significa far rientrare nel diritto una pratica che, condivido, se non regolamentata, diventa esposta a una manipolazione criminale, esposta a contraddizioni importanti. Quindi la mia risposta è di smettere di provocare, che significa arrivare con una loro propaganda a far passare per pensiero, per opinione, quelle che sono vere e proprie aberrazioni”. Insomma: vincere le elezioni, scrivere un libro, accettare un invito a presentarlo e parlare liberamente sarebbe una provocazione. In effetti forse in Urss funzionava così. È il modello che sogna Saviano?
  • Ezio Mauro: è talmente sbrodolato, che se volete rovinarvi la giornata potete leggerlo su Repubblica.
  • Selvaggia Lucarelli: “Se un ministro ha idee retrograde e pericolose, in cui una parte della società non si riconosce, è sacrosanto che attivisti e semplici cittadini portino le proprie istanze all’attenzione pubblica. È una conflittualità necessaria”. Certo: quindi la prossima volta che Lucarelli parlerà ad un evento, magari a teatro, chi considera le sue tesi “retrograde e pericolose” può andare a suonare un tamburo sotto il palco perché “una conflittualità è necessaria”. Che ne dici?
  • Michela Murgia: “Contestare un ministro è un fatto democratico, la ministra Roccella in questi mesi ha fatto molte cose che hanno cambiato la vita delle famiglie non tradizionali, che pagano quotidianamente le conseguenze di queste leggi, quindi è normale che siano arrabbiate a vadano a dimostrarlo”. E ancora: “Nicola Lagioia ha ribadito che in democrazia se non c’è violenza si può fare contestazione. Anche dicendo all’altro: quello che tu hai fatto e che è scritto e teorizzato in questo libro ha reso la mia vita peggiore, quindi io qui non ti lascio parlare: non ne hai il diritto perché tutti abbiamo perso qualcosa”. Molto bene. Primo: qualcuno ha forse messo in dubbio il diritto a contestare? No, ovviamente. Anzi: il ministro Roccella ha anche invitato i ragazzi sul palco, i quali – forse in assenza di tesi comprensibili – si sono rifiutati. Secondo: Lagioia ha definito “legittima e pacifica” una contestazione che, nei suoi effetti, ha impedito ad un libero cittadino di presentare un libro. E questa, soprattutto al Salone di Torino, è una “violenza” bella e buona. Anche se fatta senza tirare un pugno. Terzo: Murgia giustifica di fatto la censura verso chi non la pensa come loro. Dice testualmente: “Io qui non ti faccio parlare, non ne hai il diritto”. Che poi è la riproposizione del teorema: “I fasci non possono parlare”. E non c’è niente di più antidemocratico di questo. Ma non se ne rendono conto.

A tutti loro suggeriremmo di guardarsi due minuti dell’intervista di Achille Occhetto a In Onda dell’altra sera. Sul caso Roccella il ragionamento, e l’insegnamento, è semplice. Dice Occhetto: andare ai comizi degli altri è “un vizio” maldestro e “non si deve fare”. Semplice: l’avversario si lascia parlare, perché funziona così in ogni democrazia. Tranne, evidentemente, in quella della Murgia.

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