Politica

La morte dell'ex presidente

Tutti gli errori di Giorgio Napolitano, Re d’Italia

L’ex presidente della Repubblica è morto a 98 anni. Politico di razza, trasformò (in peggio) il ruolo del Quirinale

napolitano quirinale

Non ci sono dubbi che fosse un politico di razza. Chi attraversa la Prima Repubblica, veleggia ai piani alti di Botteghe Oscure, diventa dirigente, ministro, europarlamentare e infine Capo dello Stato, primo tra i comunisti, deve avere capacità politiche fuori dalla norma. E certo: nessuno è esente da errori, scivoloni, cadute. Neppure Re Giorgio. Però Napolitano commise, complice la classe politica del tempo, il grande peccato di plasmare a tal punto il ruolo del Quirinale da trasformarlo definitivamente da istituzione di garanzia a vera e propria monarchia. Se la malattia e l’età non l’avessero spinto al ritiro anticipato, nel 2015, forse alla fine il monarca laico sarebbe rimasto al Quirinale per tutto il secondo mandato.

Si potrebbero dire molte cose dell’ex presidente, nato a Napoli nel lontano 1925. Si potrebbe ricordare il suo appoggio alle truppe sovietiche che nel 1956 invasero Budapest e spezzarono sul nascere le speranze di un’intera generazione (il tardivo viaggio di riparazione sarebbe avvenuto solo nel 2006, da Capo dello Stato). Si potrebbe rammentare che la legge “Turco-Napolitano” sull’immigrazione portava il suo nome e aveva sollevato non poche polemiche da parte della sinistra, considerata allora troppo dura nei confronti degli stranieri. Si potrebbe ricordare il “blocco navale” del suo governo: Giorgio era ministro dell’Interno di Prodi, anno domini 1997, quando una nave italiana speronò il barcone di immigrati e fece colare a picco un centinaio di persone. E molte altre cose: moderato, atlantista, convinto europeista, ebbe l’indiscusso merito di aiutare il Pci ad affrancarsi da Mosca.

Tutti gli errori di Giorgio Napolitano, Re d’IItalia

Quando nel 2006 sale al Quirinale, però, tutto cambia. Inizia il traballante governo Prodi, dopo due anni prende corpo la difficile convivenza con Silvio Berlusconi, le leggi criticate eppure sempre firmate, infine il fatidico 2011. Molti dicono che le manovre giudiziarie per spodestare il Cav vennero avviate molto presto, e secondo Luca Palamara – che l’ha confessato a Alessandro Sallusti – furono suggellate da un colloquio direttamente con Giorgio Napolitano. In fondo la sua presidenza è stata debordante, non notarile né di rappresentanza, forse la più interventista tra le esperienze al Colle. Di sicuro diversa da quella di Ciampi, avrebbe fatto scuola per Mattarella. Lo dimostrano la nomina di Mario Monti a senatore a vita, la formazione del governo “del presidente” stracarico di tecnici di cui è stato di fatto il regista. Ma anche il decisionismo eccessivo con cui ha gestito lo stallo del 2013, il discorso di fuoco contro la politica che lo convinse alla rielezione, il fallito tentativo di Bersani, la nascita del M5S, il collegio dei saggi per le riforme, il governo Letta, quello Renzi.

Se c’è un errore che si può imputare a Napolitano è proprio l’essere apparso come un monarca. Forse rifiutare la rielezione sarebbe stato complicato, vista la processione dei leader per supplicarlo, eppure teoricamente possibile. In ogni caso, avrebbe potuto interpretare diversamente il ruolo di Capo dello Stato. Invece decise di riempire dal Quirinale i vuoti colpevolmente lasciati liberi dalla politica. Trasformando il parlamentarismo in un semi-presidenzialismo di fatto. Passando da presidente di tutti, a Re.

Giuseppe De Lorenzo, 23 settembre 2023