La Zuppa Sportiva

Tutti i mali del calcio italiano

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Se guardassimo il Ranking Uefa della stagione 2023/2024, con l’Italia davanti a tutti ed un buon margine sulle più immediate inseguitrici (nell’ordine Germania e Inghilterra) verrebbe quasi da pensare che il sistema calcio del Bel Paese stia finalmente tornando ai vertici del panorama continentale. Al di là della possibilità quanto mai concreta di presentarci ai blocchi di partenza della prossima Champions con 5 rappresentanti, la realtà è – ahinoi – molto diversa ed i problemi che affliggono ormai da tempo il nostro calcio sono ben lontani dall’essere risolti con un gap che rispetto a contesti quali Premier League e Liga tende ad ampliarsi. Questo è vero a vari livelli, sia che si parli di aspetti più puramente economici che di risultati sportivi.

Qualche esempio? Andando ad analizzare la graduatoria dei primi 20 club mondiali per ricavi per la stagione 2022/2023 riportata nell’edizione numero 27 della Football Money League di Deloitte, il quadro che emerge per i nostri club è poco rassicurante. Le prime 4 in classifica sono nell’ordine Real Madrid, Manchester City, PSG e Barcellona, tutte con un volume di fatturato che sfonda il muro degli 800 milioni di euro ciascuna. La top ten è sostanzialmente monopolizzata dalla Premier League, in grado di piazzare addirittura 6 club tra le prime 10 (a fare compagnia al City troviamo United, Liverpool, Tottenham, Chelsea e Arsenal); a completare il lotto 2 spagnole (Real Madrid e Barcellona), una francese (PSG) ed una tedesca (Bayern Monaco).

E le italiane? La migliore in graduatoria è la Juventus all’11° posto mentre ancora più indietro troviamo Milan (13°), Inter (14°) e Napoli (19°). Il divario rispetto alle prime della classe è quasi disarmante; basti pensare che solo la Vecchia Signora ha superato la soglia dei 400 milioni di fatturato mentre Milan, Inter e Napoli si sono fermate su livelli inferiori al 50% dei ricavi di coloro che guidano la classifica. Di fronte ad un simile gap tra le prime d’Europa ed i nostri club – rappresentativo di una tendenza ormai consolidata – non stupisce più di tanto il progressivo deterioramento in termini di risultati sportivi colti dalle nostre rappresentanti nelle competizioni continentali.

Se guardiamo alla Champions League, l’ultima italiana ad alzare al cielo la coppa dalle grandi orecchie è stata l’Inter di Mourinho (quella del triplete) nella stagione 2009/2010; da allora 3 finali disputate (2 dalla Juventus ed una dai nerazzurri) e ben poche soddisfazioni… e considerando che nella stagione in corso nessuna italiana ha raggiunto i quarti di finale, nel 2025 rischiamo di celebrare il 15° anniversario dell’ultima Champions conquistata da un nostro club.

Se possibile il quadro nel secondo trofeo continentale è addirittura peggiore; da quando nel 2009/2010 ha fatto il suo esordio l’Europa League (mandando in pensione la “vecchia” Coppa Uefa), nessun club del nostro Paese è riuscito ad iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro della competizione ed il miglior risultato è rappresentato dalla finale dalla Roma nella scorsa stagione. E sapete qual è l’ultima italiana ad aver conquistato questo trofeo quando ancora si chiamava Coppa Uefa? Dobbiamo andare indietro addirittura alla stagione 1998/1999 quando fu il Parma ad imporsi.

L’auspicio a questo punto è quello di sfatare il tabù Europa League nella stagione in corso con 3 nostri club qualificati ai quarti (derby fratricida tra Roma e Milan e Atalanta attesa dai Reds) anche se Bayer Leverkusen (capolista in Bundesliga) e soprattutto Liverpool sembrano le vere favorite per la vittoria finale. Per toglierci qualche soddisfazione dobbiamo spostare l’attenzione sull’ultima competizione continentale in ordine di importanza, quella Conference League che ha fatto il suo esordio nella stagione 2021/2022; nella prima edizione abbiamo assistito al trionfo della Roma mentre lo scorso anno la Fiorentina è stata sconfitta in finale. I Viola sono ancora in corsa anche in questa edizione e certamente la squadra di Italiano tenterà di portare in riva all’Arno quel trofeo soltanto sfiorato nella passata stagione.

Pur senza voler essere “disfattisti” e limitandoci ad analizzare i fatti, se negli ultimi 10 anni di competizioni europee l’unico trofeo conquistato da un’italiana è una Conference League, emerge con grande chiarezza la difficoltà del nostro sistema calcistico nell’essere competitivo ai massimi livelli. Altro specchio della crisi latente del nostro movimento è quello rappresentato dal problema stadi; quelli di proprietà rappresentano una vera rarità e tra le big del campionato soltanto Juventus e Atalanta sono esempi virtuosi in tal senso. È sotto gli occhi di tutti come tra i vari benefici offerti dallo stadio di proprietà vi sia un effetto volano sul fatturato societario, non solo per ciò che concerne l’evento calcistico in sé ma soprattutto grazie ai maggiori ricavi di natura commerciale (grazie a sponsorizzazioni o a naming rights) ed extra sportiva (ad esempio attraverso la fruizione per eventi quali concerti) che lo stesso può garantire.

Non stupisce quindi che i principali club italiani abbiano sul tavolo progetti volti alla realizzazione di propri impianti; progetti però che per varie motivazioni, in primis di natura burocratica ma su cui anche la politica non è esente da responsabilità, faticano ad essere concretizzati, con tempistiche progettuali e autorizzative che si allungano a dismisura e talvolta ne mettono in discussione l’effettiva realizzazione. Il caso del nuovo stadio della Roma è per certi versi emblematico; risale al 2014 la presentazione del progetto di Tor di Valle da parte dell’allora Presidente Pallotta. Progetto che ha avuto un iter travagliato, subito varie modifiche in corso d’opera e che alla fine è naufragato. Ora la società giallorossa – nel frattempo passata sotto il controllo della famiglia Friedkin – sta lavorando su un progetto differente, nel quartiere Pietralata, e si parla del 2027 come data per la sua possibile inaugurazione (anche se visti i precedenti questa previsione appare fin troppo ottimistica).

Che dire poi della grande confusione che aleggia attorno alle prospettive di uno stadio di proprietà per Inter e Milan. Sono stati finora messi sul tavolo numerosi scenari alternativi ma ancora nulla di concreto all’orizzonte; inizialmente si era parlato di demolizione e successiva ricostruzione di San Siro (scenario non praticabile in virtù di requisiti di carattere culturale dello stesso) per poi giocoforza virare su una più “semplice” ristrutturazione. In certi frangenti è apparsa verosimile l’ipotesi di uno stadio “condiviso” tra le due società salvo poi prendere quota in parallelo la possibilità di 2 differenti impianti per Milan (a San Donato) e Inter (a Rozzano). Al momento si percepisce un grande caos e la soluzione al dilemma stadio (o forse stadi) per le milanesi sembra lontana.

Più in generale l’auspicio non può che essere quello di vedere sbloccata questa situazione di stallo sul fronte stadi, cogliendo al volo l’opportunità offerta dagli Europei del 2032 che ospiteremo insieme alla Turchia e rappresenteranno una grande vetrina per un’Italia che tornerà ad essere sede di una competizione calcistica così importante ad oltre 40 anni di distanza dall’ultima volta. Nella speranza di aver imparato qualcosa proprio dagli errori commessi in occasione di Italia ’90.

Enrico Paci, 31 marzo 2024

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