Pubblichiamo l’articolo, uscito sul Il Mattino a firma di Corrado Ocone, sulle Conclusioni della Storia del liberalismo europeo di Guido de Ruggiero, ripubblicato ad un secolo esatto dalla sua stesura dall’editore Società aperta.
L’opera uscì nel 1925 contemporaneamente in Italia da Laterza e in Inghilterra (tradotta da Collingwood) per i tipi di Cambridge University Press. Mentre però oltre Manica la sua influenza è durata fino ai nostri giorni, lo stesso non può dirsi per il nostro Paese, ove è stata presto dimenticata. Resta uno dei migliori excursus di come nell’Ottocento la dottrina liberale si costituzionalizzò e dette forma agli stati moderni così come li conosciamo.
“Società aperta” è un nuovo marchio editoriale dell’editore Mimesis, che, sotto la direzione di Salvatore Veca, Gabriele Giacomini e Luca Taddio, intende riproporre classici del pensiero liberale da tempo introvabili. Sono già usciti: L’odine sensoriale di Friedrich von Hayek, con la prefazione di Raimondo Cubeddu e Lo Stato onnipotente di Ludwig von Mises con la prefazione di Lorenzo Infantino.
Guido de Ruggiero era napoletano doc (era nato il 23 marzo 1888). Ed era filosofo e liberale, tanto che all’una e all’altro, cioè alla filosofia e al liberalismo, dedicò i suoi studi e il suo impegno storiografico (anzi forse la vita, visto che i tredici volumi in cui ricostruì la storia del pensiero occidentale uscirono in ordine cronologico lungo un arco di tempo che coincide o quasi con quello della sua operosità).
Il primo elemento che rende interessante la figura di de Ruggiero è proprio l’accoppiata di filosofia e liberalismo. Per lo più i filosofi, in effetti, non sono o non amano definirsi liberali, e lo stesso liberalismo ha attecchito molto più fra economisti e scienziati sociali che non fra i filosofi propriamente detti. O sì, anche fra i filosofi, ma fra i cultori di quella filosofia empirica e “scientficizzata” che non per tutti è “vera” filosofia. De Ruggiero invece è un filosofo speculativo a tutti gli effetti, sodale di Croce (anche lui filosofo e liberale), a cui fu molto precocemente introdotto da un suo zio e con il quale restò sempre in contatto di collaborazione fra alti e bassi per tutta la vita. Più che Croce, il suo “vero maestro”, come ebbe a definirlo, fu però Gentile, che conobbe un po’ più tardi ma alla cui prospettiva “attualistica” con poche riserve aderì. Tranne poi allontanarsi dall’uomo, non tutto sommato da essa, allorquando il filosofo di Castelvetrano aderì al fascismo e ne diventò sicuramente il massimo esponente intellettuale. Il liberalismo di de Ruggiero non coincideva affatto però con quello di Croce, così come differentemente da Croce il nostro mai si illuse sulla possibilità di evoluzione istituzionale e “liberale” del fascismo.
In questa sua intransigenza, egli fu vicino a Gobetti (con il quale, dopo una stagione nittiana) collaborò (prima di avvicinarsi, anche in questo caso con riserve, ad Amendola). Le sue idee però dissentivano su punti essenziali da quelle del torinese, e al comunismo e ai soviet De Ruggiero mai dette una qualche linea di credito. Che però il suo liberalismo non fosse nemmeno quello conservatore e legato alla vecchia Italia liberale di Croce è evidente da subito, e si appalesa con chiarezza dopo un suo soggiorno in Inghilterra ove conosce il pensiero di Hobhouse e fa propria l’esperienza neomachesteriana di un liberalismo che senza contraddirsi, cioè senza rinunciare alla primazia dell’idea di libertà, si apre progressivamente a nuovi ceti sociali e alle loro esigenze.
Tornato in Italia nel 1921, con queste idee, comincia a stendere la Storia del liberalismo europeo, divisa in una parte storica e una teorica, che è la sua opera più conosciuta e influente. Influente ancora oggi oltre Manica, ove è citata sempre nelle bibliografie sul tema (uscì tradotta da Collingwood per Cambridge University Press nello stesso anno in cui uscì in Italia: il 1925); dimenticata del tutto invece in Italia, ove pure ebbe un grosso peso nella storia della lotta al regime e nella formazione fra gli intellettuali di una coscienza antifascista (secondo forse solo a quello della Storia d’Europa di Croce). Fu presto dimenticata nel secondo dopoguerra, pur avendo assunto de Ruggiero, dopo la caduta del fascismo, importanti ruoli a livello nazionale (fu deputato, ministro della Pubblica Istruzione, primo rettore post-fascista della Sapienza). Tanto che la nuova edizione, che ho avuto l’onore di curare per il progetto editoriale “Società aperta” di Mimesis, diretto fra gli altri da Salvatore Veca, è a mio avviso un piccolo evento editoriale (l’opera era praticamente introvabile in libreria, nelle vecchie edizioni Laterza e Feltrinelli).
Cosa può dirci a noi, uomini di un altro secolo e millennio questa Storia? Cosa è vivo attuale del pensiero liberale di de Ruggiero? 1. Prima di tutto direi il suo carattere formale: le esigenze (e quindi le risposte) liberali non sono definibili a priori, e ad ogni generazione tocca individuare le prime e reinventare le seconde. 2. In secondo luogo, l’importanza dello Stato e delle istituzioni come garanzia della libertà, anche di quella economica (il mercato, che pure è valore liberale, non può essere abbandonato a stesso). 3. In terzo luogo, l’insistenza sulla non coincidenza di liberalismo e individualismo. Un limite è forse invece la fiducia, che de Ruggiero aveva come un po’ tutti i vecchi liberali, nell’idea di Progresso. Che il liberalismo dovesse dopo tutto sempre trionfare sui regimi autoritari per sua intrinseca forza, è un assioma su cui oggi non saremmo certo più pronti a giurare.
Il vecchio Croce, che sopravvisse al suo sodale (de Ruggiero morì a Roma il 29 dicembre 1948), se ne rese conto, legando il concetto di Libertà a quelli di Male e Vitalità. E sempre più paragonò le sorti del liberalismo e quelle stesse della civiltà, alla precarietà miracolistica con cui la ginestra leopardiana rifulge nella sua bellezza essendo in ogni momento minacciata di sparizione dalla lava del Vesuvio e dalle indomabili forze della natura.
Corrado Ocone, il Mattino, 26 luglio 2021