Tutti i “vizietti” dei maestri degli antirazzisti

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Difficile dire guardandoli in volto, ma i primati che abbattono le statue in Usa e in Uk, e quelli che le imbrattano in Italia, una cultura l’hanno. Certo, nel senso in cui gli antropologi ne parlano quando studiano gli aborigeni o le popolazioni della foresta amazzonica. Anche se, più che una cultura, la definirei una ideologia. Essendo movimenti a pulsione nichilistica, l’ideologia vi assume un carattere fondamentale – come ha insegnato Dostojevski, meno credi e più diventi fanatico di una religione terrena e secolarizzata, appunto l’ideologia.

E allora andiamo a cercare da dove essa provenga Diversamente da quella comunista, nata dalle lotte operaie e contadine, questa dei vari movimenti ispirati a Black lives matter è un puro prodotto delle università e non ha alcun nesso con il mondo reale – neppure quello delle comunità afroamericane. In Europa è una semplice imitazione degli Usa – uno dei tanti fenomeni di americanizzazione – ma l’ideologia dei campus americani a sua volta proviene dall’Europa, e precisamente dalla Francia.

È quella che viene chiamata French Theory e che entrò nelle Università americane a partire dagli anni Settanta. I suoi autori erano in larga parte francesi – Michel Foucault, Gilles Deleuze, Jacques Derrida, Jacques Lacan – e vennero a rinnovare un marxismo universitario esangue. L’estrema sinistra se ne cibò subito anche se per somma ironia i maestri filosofici della French Theory erano Nietzsche e Heidegger, due pensatori solidamente di «destra».

I campus americani hanno trasformato questa French theory in una ideologia anti-occidentale: secondo loro tutta o quasi la cultura europea e nord americane è da condannare in quanto figlia della dominazione patriarcale, sessista, colonialista e razzista. La teoria francese è poi ritornata in Europa, e anche nella stessa Francia, dove ha preso il nome di «indigenismo» e «razzialismo», e gli atenei sono diventati luoghi di diffusione di questo nuovo terrorismo «intellettuale»

Anche se a ben vedere questi movimenti non perseguono una  politica ma solo moralismo ed è per questo che sfrogolano nella vita privata dei personaggi storici di cui vogliono cancellare la memoria: nella loro visione primitiva (da primate) il privato è politica.

Ebbene, adottiamo per un momento lo stesso schema e scorriamo in una serie di flash gli eroi dell’indigenismo e del razzialismo «anti razzista» per vedere se essi rispettano i rigidi canoni anti-patriarcali, anti-sessisti, anti-colonialisti, anti occidentali.

Cominciando da Marx. Anche se i BLM non sono marxisti perché Marx è troppo difficile da leggere per loro, resta comunque una figurina del loro album. E qui cominciamo male. Marx trattava più o meno da schiava la moglie, che pur adorava, esercitava un controllo ferreo sulle figlie, possedeva insomma una mentalità vittoriana, tranne che nei confronti della cameriera, ingravidata senza riconoscere i figli. Mmmm, proviamo allora sul versante anti razzista e anti colonialista. Anche qui non va bene. Marx era un grande sostenitore del colonialismo e, come quasi tutti i marxisti dei decenni successivi, pensava che il compito dei paesi europei fosse di civilizzare gli africani e gli asiatici. Nelle sue cronache sulla guerra civile americana usò parole di fuoco contro l’ipocrisia dei Nordisti. Teoria, si dirà. Ma quando la figlia portò a casa il fidanzato, Paul Lafargue, poi uno dei più importanti marxisti francesi di quel periodo, nato da famiglia creola a Cuba, quindi non certamente «nero», lo trattò freddamente e la sera scrisse una lettera al suo amico e sodale e finanziatore Engels in cui fece capire di non apprezzare l’etnia del giovane; anche se poi vi si affezionò – e comunque anche la coppia di sposini fu mantenuta, come Marx, dal solito generoso Engels.

Insomma, ci sarebbe materia per una bella sverniciatura, di rosso ovvio, sulla tomba di Marx a Hyde Park. Ma si dirà, l’Ottocento. Va bene e allora veniamo in tempi già recenti. Il teorico della negritudine, Jean Paul Sartre, era stato vagamente neutrale nella Parigi occupata dai nazisti, dove si rappresentavano regolarmente le sue opere teatrali, tradiva ripetutamente la compagna, Simone De Beauvoir, anche con la sorella di lei. Non risparmiava di raccontare a Simone le sue diverse conquiste, che lei riportava sarcasticamente nel lettere agli amici:  «siate fiero di Sartre.  Ha deciso che una Algerina neretta , una vera bionda e due false non gli bastano, Cosa gli mancava? Una rossa. L’ha trovata»  Un Don Giovanni però un po’ freddo come amante ma soprattutto ossessionato dalla paura di essere omosessuale, anzi un «pederasta» come scriveva lui stesso.

Certo, dal nostro punto di vista il dolo più grande di Sartre consiste nell’aver cercato di spacciare i gulag per una menzogna borghese, ma certo per gli «anti razzisti» non sarà un peccato, anche se nei gulag comunisti ci finirono anche gli omosessuali e gli ebrei, cosi per dire. Invece un sodale di Sartre, lo psicologo Frantz Fanon, francese martinico, diventò collaboratore del Fronte di Liberazione dell’Algeria e dei suoi sanguinari attentati terroristici; ma soprattutto, fu un grande sostenitore dell’Islam, non esattamente una religione che predica la lotta al patriarcato. Così come islamico era Malcolm X, uno degli eroi dei Blm: non era islamico invece Martin Luther King, in compenso, secondo i rapporti della Cia, era ossessionato dal sesso, partecipava ad orge e il suo tipo di approccio alle donne oggi non supererebbe  la prova del Me too o, se vogliamo stare in Italia, di Non una di meno – ma neanche quella del codice penale per i reati di violenza sessuale.

La stessa fascinazione per l’islam, nelle sue forme radicali, colse il massimo pensatore della French Theory, Michel Foucault, affascinato dalla rivoluzione islamica iraniana e dalla conseguente rimessa in riga delle donne, che invece nell’Iran dello Scia potevano circolare in mini gonna. Ma il vizietto del filosofo era ancora più grave, immaginiamo dal punto di vista dei nostri indigenti all’amatriciana, e questa volta anche nostro: teorizzava la pedofilia.

Montanelli si è sposato con una ragazza etiope di 14 anni, secondo le leggi e gli usi locali. Foucault, invece, nel 1977,  firmò  una petizione rivolta al Parlamento francese in cui chiedeva di togliere il limite d’età per i rapporti sessuali, e anche il sesso con una bambina (anzi, dal suo punto di vista, con un bambino) di sei anni avrebbe dovuto essere consentito: andava riconosciuto, come scriveva la petizione «il diritto del bambino e dell’adolescente a intrattenere relazioni sessuali con persone a sua scelta».

Anche perché, come disse nel 1982 il leader del sessantotto francese, a lungo eurodeputato verde, Daniel Cohn-Bendit in una trasmissione della tv francese di grande successo (il video agghiacciante si può vedere ancora in rete) «la sessualità di un bambino è fantastica». Dani il Rosso, che certo oggi starà dalle parte degli indigenisdi, non firmò quella petizione, ma lo fecero, tra gli altri, Roland Barthes, il grande teorico e critico letterario, un altro dei maestri della French theory, Gilles Deleuze e il suo amico e co-autore Felix Guattari, Jack Lang poi ministro della cultura di Mitterrand, Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, (rieccoli) il nouveau philosophe André Glucksmann.

Sempre nel 1977, i medesimi pubblicarono su Le Monde una appello in difesa di tre francesi condannati per aver avuto rapporti omosessuali con una ragazza di 13 anni. A 13 anni, scrivevano Foucault,  Deleuze, Barthes, Guattari e  gli altri,«si è già di fatto una donna».

Un anno in meno della sposa etiope di Montanelli. Ma se sei Foucault, o magari Pasolini, cacciato dal Partito comunista friulano per aver intrattenuto rapporti con i minori, almeno secondo l’accusa, te lo puoi permettere, e anzi lo puoi teorizzare. Invece se to chiami Montanelli, devi finire nella polvere.

Marco Gervasoni, 20 giugno 2020

 

 

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