Dalle nostre parti, quelle occidentali, chi afferma un fatto deve darne la prova. In termini giuridici l’onere della prova spetta a chi accusa. O se preferite, abbiamo una generale presunzione di innocenza. Il principio è sacro.
Lo stato, per un liberale, è un male necessario. Esercita il monopolio della violenza legale, ma perché gliela abbiamo concessa noi individui. Mi sbatte in galera e mi fa pagare le tasse. Ma diamine per farlo dovrebbe provare la mia colpevolezza.
Gli individui, la persona, valgono più dello Stato. Ecco perché il terrorista italo-marocchino ha potuto sgozzare sette persone a Londra. Pur avendo dei video dell’Isis sul suo telefonino e progettato un viaggio in Siria, il nostro Tribunale del riesame non ha considerato le prove a suo carico, di terrorismo internazionale, sufficienti.
Eppure siamo in un’emergenza tale, che spesso l’onere della prova viene ribaltato. Avviene spesso che i singoli cittadini debbano dimostrare la propria innocenza, che siano considerati presunti terroristi. Il problema è che questo ribaltamento avviene per coloro che sono vittime.
Le centinaia di persone bloccate nella chiesa di Notre Dame, hanno dovuto alzare le mani in Chiesa per dimostrare il fatto di non essere armati. Altrettanti sono stati indotti al medesimo comportamento a Parigi e a Londra, in occasione di attentati simili. Giordano Bruno Guerri ha magnificamente scritto che quella immagine rappresenta una resa dell’Occidente. Ed ha ragione. Ma c’è qualcosa di più.
La contraddizione del comportamento del nostro apparato giudiziario- poliziesco. Noi siamo presunti terroristi nel momento dell’emergenza e dobbiamo dare prova di non esserlo. Chi uccide viene considerato innocente, fino a quando platealmente non sfodera il coltello.
Non si tratta di una questione capziosa. Ma di un nodo che i liberali debbono sciogliere. Nessuno chiede l’inversione dell’onere della prova. Si pretende di certificare la situazione di emergenza in cui ci troviamo.
Non devono essere i fedeli di Notre Dame a tenere le mani sopra al capo, in un gesto di resa e di sottomissione alla violenza legale dello Stato, debbono essere coloro che hanno filmati dell’Isis nei propri cellulari a dover inchinarsi alla giustizia.
Si evocano spesso le leggi emergenziali, lo ha fatto Sallusti su queste colonne, che hanno permesso la sconfitta del terrorismo.
Esse non negano i principi liberali: intervengono piuttosto per difendere il nostro modello culturale. Alla rivoluzione rossa lo stato italiano ha risposto con le armi e con l’intelligence.
Alla rivoluzione che vuole imporre il fondamentalismo islamico dobbiamo rispondere alla stessa stregua. Altrimenti ci troveremo nella paradossale condizione di difendere il nostro sistema di valori quando trattiamo con chi lo vuole distruggere e di negarlo con chi è vittima del fondamentalismo.
Quelle mani sul capo sono più che una resa, sono più che un simbolo, sono il segnale di come non abbiamo ancora capito quale sia il nemico da combattere e di quanto esso sia determinato.
Nicola Porro, Il Giornale 8 giugno 2017