Il massacro del Kibbutz Kfar Aza, dove 40 bambini sono stati trovati trucidati e con le teste mozzate, non nasce dal nulla. Era il 1970, quando la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci intervistava la terrorista palestinese Rascida Abhedo, l’autrice dell’attentato del 21 febbraio 1969, facendo esplodere due bombe al supermercato di Gerusalemme. Una carneficina che poi non la bloccò nel costruire un terzo ordigno, questa volta destinato alla caffetteria dell’Università Ebraica.
L’intervista spiega al meglio l’impostazione ideologica dei terroristi palestinesi, che individuano nel cittadino israeliano il nemico da combattere e abbattere. Il massacro del Kibbutz non ha risparmiato nessuno, e nonostante siano passati ben cinquant’anni dall’intervista della grande giornalista italiana, la mentalità palestinese non sembra essere cambiata di un millimetro. Il caso del Kibbutz ne è una chiara dimostrazione: l’israeliano, uomo o donna, anziano o bambino che sia, deve essere freddato. Ed è così che le truppe di Hamas hanno ucciso in totale 108 abitanti del luogo, senza risparmiare i neonati. È così che la 23enne Rascida Abhedo si rendeva protagonista di una carneficina che poi sarebbe passata alla storia.
Il racconto della Fallaci
23 anni, ma “sembrava una monaca o una guardia rossa di Mao Tse-Tung”, raccontava Oriana Fallaci, che poi proseguiva: “Delle monache aveva la compostezza insidiosa, delle guardie rosse l’ostilità sprezzante, di entrambe il gusto di rendersi brutta sebbene fosse tutt’altro che brutta”. Era nata e cresciuta a Gerusalemme da una famiglia agiata che non fece “mai nulla per difendere la Palestina o indurmi a combattere”. Un nucleo che non si interessava alla politica ed alla lotta contro Israele. Eppure, “furono i loro racconti del passato, senza che loro lo sapessero, ad influenzarmi“, spiegava la giovanissima attentatrice.
La convinzione di dover colpire lo Stato israeliano nacque direttamente dalle narrazioni dei genitori circa la loro vecchia casa, “al di là della linea di demarcazione”, ora nel territorio di Tel Aviv. Rascida riusciva a vederla direttamente dalla propria camera da letto e ad ogni sguardo “la guardavo sempre con ira“. E ancora: “Gli arabi che si affollavano al posto di blocco per venire dai parenti profughi. Piangevano, perdevano i bambini, i fagotti. Erano brutti, senza orgoglio, e ti coglieva il bisogno di fare qualcosa”. Da qui, l’odio contro la popolazione di Israele: “Del resto, nessun israeliano noi lo consideriamo un civile, ma un militare e un membro della banda sionista”.
“Tu ammazzerai i loro”
È proprio dinanzi a queste affermazioni che Oriana Fallaci incalza la terrorista: “Anche se è un bambino, Rascida? Anche se è un neonato?”. Risponde l’attentatrice: “Questa domanda me la ponevo anch’io, quando mi addestravo con gli esplosivi. Non sono una criminale e ricordo un episodio che accadde proprio al supermarket, un giorno che andai in avanscoperta. C’erano due bambini. Molto piccoli, molto graziosi. Ebrei. Istintivamente, mi chinai e li abbracciai. Ma mi tornarono in mente i nostri bambini uccisi nei villaggi, mitragliati per le strade, bruciati dal napalm”. E arriva la parte choccante: “Quelli di cui loro dicono: bene se muore, non diventerà mai un fedayn. Così li respinsi e mi alzai. E mi ordinai: non farlo mai più Rascida, loro ammazzano i nostri bambini e tu ammazzerai i loro. Quando la nostra vera rivoluzione avverrà, perché oggi non è che il principio, numerosi bambini morranno. Ma più i bambini morranno più sionisti comprenderanno che è giunto il momento di andarsene“.
Per approfondire:
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Un’impostazione ideologica ben attuata ancora oggi dai terroristi palestinesi e di Hamas, visto che è notizia di queste ultime ore la difficoltà nel riconoscere i corpi delle vittime civili israeliane, a causa delle numerosissime sevizie subite, nonché dell’accanimento che i soldati hanno avuto contro di loro. Lo ha riferito la tv israeliana Kan, citando proprie fonti della sicurezza. Se i soldati in genere – ha aggiunto – hanno la piastrina di riconoscimento, “per i civili e i bambini uccisi occorre fare l’esame del Dna e questo richiede molto tempo, considerata anche la mole di lavoro riversatisi sui laboratori”. Lo stesso accanimento che Rascida aveva avuto cinquant’anni fa.
Matteo Milanesi, 11 ottobre 2023