Che sarebbe stata una giornata all’insegna dei negoziati lo si era capito da due segnali: primo, il fatto che le delegazioni di Mosca e Kiev si sono incontrate a Istanbul e non in Bielorussia, dunque un territorio e un mediatore migliori per arrivare alla pace; secondo, la Russia ha gettato una secchiata d’acqua sugli “insulti personali” rivolti da Biden a Vladimir Putin. In sintesi: per Dmitry Peskov le parole del presidente Usa “non possono non lasciare il segno”, hanno un “impatto negativo” sui rapporti bilaterali, ma comunque “il dialogo è necessario”. Quindi il Cremlino per stavolta sorvola. E infatti qualche passo in avanti Ucraina e Russia lo hanno fatto (anche se la strada è “ancora lunga”): sono moltissime le novità emerse dalla nutrita riunione alla corte di Erdogan, incontro cui ha partecipato anche Roman Abramovich, nonostante il presunto avvelenamento subito a inizio marzo.
Kiev: pronti a dichiararci neutrali
Partiamo dalle aperture fatte da Kiev: l’Ucraina sarebbe favorevole a dichiararsi neutrale in base ad un sistema di garanzie adeguate. Lo aveva detto anche Zelensky nei giorni scorsi, chiedendo pure a Mario Draghi e all’Italia di svolgere un ruolo in tal senso. Insieme a Roma, Kiev ha chiesto la partecipazione di Regno Unito, Cina, Polonia, Stati Uniti, Francia, Turchia, Germania, Canada e Israele. “I Paesi garanti dovranno fornirci assistenza militare, forze armate, armamenti, cieli chiusi – ha detto David Arahamiya, capo negoziatore ucraino -: tutto ciò di cui abbiamo tanto bisogno ora e che non possiamo ottenere”. Si tratterebbe di una nuova “alleanza”, con un meccanismo di garanzia simile a quello dell’articolo 5 della Nato, ma senza entrare nella Nato. “Insistiamo che questo sia un accordo internazionale – dice il negoziatore ucraino – firmato da tutti i garanti della sicurezza, ratificato, per non ripetere l’errore che si è già fatto nel Memorandum di Budapest che si è rivelato solo un pezzo di carta”.
Mosca: “Riduciamo lo sforzo bellico”
Resta ovviamente il nodo del Donbass. Ieri il ministero degli Esteri di Mosca aveva annunciato che gli sforzi russi si sarebbero concentrati sul Sud Est dell’Ucraina. Oggi il ministro Sergei Shoigu ha confermato che “l’obiettivo primario è liberare il Donbass”: “Il potenziale di combattimento delle forze armate ucraine – ha detto – è stato significativamente ridotto, il che consente di concentrare gli sforzi sul raggiungimento dell’obiettivo principale: la liberazione del Donbass”.
L’Ucraina, che a parole non intende ovviamente rinunciare a parti del suo territorio, oggi ha però aperto uno spiraglio: ha proposto consultazioni di 15 anni sullo status della Crimea senza l’uso delle armi. Anche Mosca ha fatto sapere che sul tavolo di Istanbul c’è “il riconoscimento delle attuali realtà territoriali” dell’Ucraina. Per Medinsky, capo negoziatore di Putin, le parti sono più vicine ad un accordo. Se lo Zar potesse rivendicare la liberazione del Donbass, la conquista di Mariupol e la distruzione di infrastrutture civili e militari inflitte a Kiev, potrebbe anche valutare “accettabile” il risultato e cantare vittoria.
Non è un caso, forse, se secondo il Pentagono la Russia sta iniziando a ritirare le sue forze dalle vicinanze di Kiev. Una sorta di mano tesa per i negoziati: “Faremo due passi concreti per evitare l’escalation della crisi – ha spiegato Medinsky – la Russia ridurrà drasticamente l’attività militare vicino a Kiev e Chernikiv”. Non si tratta di un cessate il fuoco, ma di un modo, ha aggiunto il vice ministro della Difesa, Alexander Fomin, per “aumentare la fiducia reciproca per i futuri negoziati”. Per il Cremlino non ci sarebbero nemmeno problemi se Kiev decidesse di entrare nell’Ue.
Dietro questo passo in avanti potrebbe esserci anche la posizione della Cina, che non ha abbandonato Mosca ma senza perdere di vista i propri interessi. Che sono economici ed hanno bisogno della globalizzazione per procedere. “La guerra in Ucraina pregiudica la pace, la stabilità e la ripresa economica mondiale”, ha detto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. Ad essere preoccupati sono “i paesi in via di sviluppo”, prima tra tutti la Cina.
Unica nota stonata della giornata, al netto dei combattimenti, è la posizione degli Usa che, per ora, non vedono “reale serietà” dal Cremlino. Presto però si terrà un secondo round di negoziati.