Papa Francesco chiede a Zelensky di avere il “coraggio” di alzare bandiera bianca. E dunque di mettersi al tavolo dei negoziati, senza attendere la riconquista delle terre occupate dai russi dopo l’avvio dell’invasione via terra ormai due anni fa. Ospite a “Cliché”, il magazine culturale condotto da Lorenzo Buccella e trasmesso sulla Radiotelevisione svizzera (RSI), Bergoglio ha offerto la sua prospettiva su tematiche di estrema attualità internazionale, toccando i nodi della guerra in Ucraina e del conflitto tra Israele e Palestina.
Durante l’intervista, il pontefice ha espresso una visione fuori dagli schemi ma che farà senza dubbio discutere: “È più forte chi vede la situazione – ha detto – chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare”. Un modo per presentare il negoziato come atto di forza, non di resa: “Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare”.
La controffensiva ucraina, tanto spinta dall’Occidente, non ha portato ai risultati sperati. Si sa. Zelensky ha rimosso i vertici dell’esercito, è a corto di uomini e anche di armi che l’Occidente continua a fornirgli col contagocce. Il presidente ucraino ha sempre ribadito che “la pace è insostenibile” senza la riconquista “del Donbass e della Crimea”, ma l’ipotesi di ri-appropiarsi dei territori perduti è ridotta sempre più al lumicino. Putin infatti non intende lasciare le posizioni conquistate e ha più volte definito “idioti” gli ucraini che continuano a combattere anziché cercare un armistizio. Il Papa non la pensa come lo Zar, sia chiaro, ma la sua idea pare essere più o meno questa: dopo due anni di bombe e morti, è arrivato il momento di ammettere lo stallo e di sedersi a un tavolo. La vergogna di ammettere la sconfitta può essere comprensibile, ammette Bergoglio, ma “con quante morti finirà” se non si tratta? “Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore – è il mantra – Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”. Insomma: “Il negoziato non è mai una resa”, ma è “il coraggio per non portare il paese al suicidio”.
Quello di Francesco è senza dubbio un discorso pacifista. In pieno spirito bergogliano. “La guerra è una pazzia, è una pazzia”, ribadisce infatti nell’intervista che andrà in onda il 20 marzo. I potenti, colpevoli di fabbricare “gli aerei per bombardare gli altri”, spacciano le armi come strumento per “difendersi” quanto in realtà servono solo a “distruggere”. “Come finisce una guerra? – si chiede retoricamente – Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi”.
Il pontefice ha poi parlato anche della guerra tra Israele e Palestina, conflitto per cui si è già proposto come mediatore e in cui vede due responsabili. “Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza. Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra – spiega – E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la ‘guerra-guerrigliera’, diciamo così, di Hamas, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa”.
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