La Crimea ritorna al centro delle discussioni europee, circa la possibilità di offrire una soluzione di mediazione tra l’Ucraina e la Federazione Russa. Nel pomeriggio di ieri, infatti, la Casa Bianca ha esplicitamente affermato la possibilità di Kiev di poter riconquistare la penisola. Gli attacchi delle settimane scorse, direttamente su suolo russo, addirittura ad una base militare ad un centinaio di chilometri da Mosca, hanno dimostrato come le forze ucraine possano estendersi ben al di là del proprio confine. Una situazione che, da una parte, gioca sicuramente a vantaggio della resistenza, ma che dall’altra fa preoccupare i membri dell’alleanza atlantica, soprattutto in un’ottica di eventuale controrisposta del nemico.
Nel frattempo, secondo i vertici Nato, Putin si starebbe preparando per una guerra lunga, nonostante il leader del Cremlino abbia dichiarato come una pace con Kiev sia alla fine “inevitabile”. “Vediamo che stanno mobilitando più forze, che sono disposti a subire anche molte vittime, che stanno cercando di ottenere l’accesso a più armi e munizioni”, ha specificato il segretario della Nato Stoltenberg. Che conclude: “Dobbiamo capire che il presidente Putin è pronto a rimanere in questa guerra per molto tempo e a lanciare nuove offensive”.
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Proprio a causa delle nuove pianificazioni di Mosca, ecco che la Crimea potrebbe agire come mezzo essenziale per trovare una soluzione rapida per la conclusione del conflitto. A scriverlo è anche l’ex primo ministro britannico, Boris Johnson, sulle colonne del Wall Street Journal: Zelensky sarebbe pronto ad avviare i colloqui di pace, anche senza la precondizione della liberazione di Crimea e Donbass.
Uno spunto che arriva direttamente dal leader europeo che più sostenne la causa ucraina, prima di essere costretto alle dimissioni, a causa dello scandalo Partygate. E ancora, ad assecondare Johnson sarebbe pure l’alleato americano, in particolare la figura di Kissinger. Per l’ex segretario di Stato americano, le terre occupate dai russi, quasi un decennio fa, “potrebbero essere oggetto di un negoziato dopo il cessate il fuoco”. Ma se il negoziato non riuscisse a risolvere tale questione, si potrebbe indire un “referendum con supervisione internazionale” sull’autodeterminazione dei popoli che abitano quei territori.
In realtà, un referendum in Crimea, nel 2014, c’è già stato e ha visto la vittoria schiacciante dell’adesione alla Russia (96 per cento). Eppure, il voto è avvenuto proprio senza alcuna supervisione internazionale, vincolo che non permette di riconoscerne la validità al di fuori dei confini della Federazione.
Nonostante tutto, l’obiettivo di Kiev è chiaro, e rimane sempre quello di inizio guerra: il ripristino dell’integrale sovranità territoriale ucraina, Crimea e Donbass compresi. Rimane, però, da convincere anche la controparte: in che modo Putin potrà giustificare una guerra di quasi un anno, per poi tornare a casa con una penisola, già amministrata da otto anni, insieme alle regioni di Lugansk e Donetsk? E ancora: in che modo il Cremlino reagirebbe ad un attacco in Crimea, territorio presieduto da circa 30mila truppe russe? Un’eventuale disfatta per la Russia potrebbe suffragare anche l’ipotesi nucleare, escalation che chiaramente l’Occidente vuole evitare a tutti i costi.
Eppure, parte dell’Occidente ritiene ancora che sia proprio la Crimea ad essere il mezzo principale per raggiunge il fine della pace. Da una parte, l’opzione garantirebbe la sovranità ucraina in una situazione post-2014 e pre-24 febbraio 2022; dall’altra, permetterebbe a Putin di riconoscere quelle terre che, secondo la narrazione di Mosca, sarebbero legate indissolubilmente con la “madre Patria” russa.
Il dilemma è però quello del lungo-termine: quali saranno le pretese del Cremlino tra qualche anno, in caso di stabilizzazione delle attuali tensioni? Chi può escludere che si riproponga lo stesso problema, con una Russia vogliosa di riportare sotto il proprio controllo gli ex territori sovietici? Questo rimane il mistero più grande.
Matteo Milanesi, 17 dicembre 2022