Nel corso della guerra tra Russia e Ucraina, Vladimir Putin ha intrapreso almeno tre strade differenti, a seconda del progressivo andamento del conflitto. Durante la fase iniziale, per le prime settimane successive al 24 febbraio, l’obiettivo era quello di conquistare l’Ucraina su larga scala; tant’è, forse per impreparazione ucraina o forse per maggiore organizzazione russa, che l’esercito invasore era riuscito a spingersi fino alle porte di Kiev, dopo poche ore dall’annuncio ufficiale di Putin.
Il mutamento del conflitto, però, arriva a partire dai primi di maggio, quando la guerra-lampo risulta essere ormai un miraggio: il Cremlino si deve accontentare del Donbass. E decide di concentrare i propri obiettivi militari all’interno dei confini delle regioni di Donetsk e Lugansk.
A partire dalla giornata di ieri, possiamo dire di trovarci dinanzi al Piano C di Putin: l’utilizzo del criterio Crimea, ovvero riconoscere referendum “farsa”, così come definiti dall’alleanza atlantica, di quattro regioni ucraine, tali da poterle indicare come proprio territori. Come già affermato dal portavoce delle presidenza russa Peskov: “Ogni attacco sarà inteso come una lesione della nostra sovranità territoriale“.
La mossa non è assolutamente scontata ed è stata recepita con preoccupazione da Zelensky. Il governo di Kiev, infatti, ha presentato formale richiesta di annessione alla Nato, con procedura d’urgenza. Nonostante il continuo sostegno alla causa ucraina, però, il segretario Stoltenberg ha già chiuso la porta alla richiesta di Zelensky. Ciò non solo perché un’eventuale entrata potrebbe essere la goccia che farebbe traboccare il vaso, ma anche per il semplice fatto che il regolamento dell’alleanza atlantica lo nega. Sia per l’entrata nell’organizzazione, che per l’Unione Europea, è disposta una clausola fondamentale, ovvero l’impossibilità di adesione da parte di Stati in condizione di belligeranza.
A ciò, si aggiunge il tanto citato articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, il quale recita al primo comma: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti“.
La disposizione specifica, quindi, che in caso di ingresso dell’Ucraina nella Nato, Stati Uniti ed Europa dovrebbero agire militarmente ed immediatamente all’interno dei confini di Kiev. E pure nelle quattro regioni annesse alla Federazione russa ieri. In poche parole, si arriverebbe alla presenza di truppe occidentali in regioni che Mosca considera proprie, su cui ha già dichiarato che un eventuale attacco cagionerebbe una lesione della sovranità territoriale nazionale. Insomma, non si osi immaginare quello che potrebbe accadere.
Per concludere, quindi, rispondendo alla domanda indiretta posta nel titolo: quanto è probabile l’entrata dell’Ucraina nell’organizzazione militare occidentale? Tenuto conto delle dichiarazioni di Stoltenberg e della gravità delle conseguenze che potrebbero verificarsi, la percentuale è ridotta allo zero virgola, se non totalmente annullata. In caso contrario, sarebbe un vero e proprio suicidio atlantico.
Matteo Milanesi, 1 ottobre 2022