Esteri

Ucraina, telefonata Scholz-Putin e il ruolo di Trump: cosa c’è dietro

Ieri primo contatto dopo due anni tra il cancelliere tedesco e lo zar. La distanza resta ampia, ma la pace non è un’utopia

scholz zelensky © Racide tramite Canva.com

Dopo quasi mille giorni di combattimento qualcosa si sta muovendo. La situazione sul campo di battaglia in Ucraina è particolarmente delicata e per questo motivo la diplomazia prova a cambiare marcia. Ieri, dopo circa due anni dall’ultimo contatto, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente russo Vladimir Putin hanno parlato al telefono. Un dialogo durato un’ora che rappresenta certamente un passo avanti, anche se la strada da fare resta parecchia. Il numero di Berlino ha stigmatizzato la “guerra di aggressione russa” contro Kiev, chiedendo a Putin il ritiro delle truppe e la negoziazione per “una pace giusta e duratura”. Scholz ha inoltre ribadito “l’incrollabile determinazione della Germania a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”.

Come anticipato, la distanza resta ampia. Putin ha ribadito che un eventuale accordo dovrebbe riflettere le “nuove realtà territoriali”, oltre che “prendere in considerazione gli interessi della Federazione Russa nella sfera della sicurezza” ed “eliminare le cause del conflitto”. Il riferimento è alla presunta alla “politica aggressiva di lunga data della Nato volta a creare un punto d’appoggio anti-russo sul territorio ucraino, ignorando gli interessi di sicurezza del nostro Paese e calpestando i diritti dei residenti russofoni”. La chiacchierata sull’asse Berlino-Mosca non è piaciuta a Kiev: avvertito in anticipo del contatto, Volodymyr Zelensky ha parlato di telefonata che apre un vado di Pandora. Il numero uno di Kiev ha invocato azioni concrete e forti per costringere Putin alla pace, non di certo persuasione e tentativi di appeasement che dal Cremlino potrebbero essere percepiti come debolezza.

Il futuro dell’Ucraina è tutto da scrivere e un ruolo da protagonista l’avrà l’America targata Donald Trump. Da gennaio alla Casa Bianca, il tycoon ha ribadito a più riprese di voler spingere per la pace. Ma Washington è stato il principale sostenitore di Kiev a livello militare. Che fare, dunque? Con l’amministrazione Trump la guerra “finirà più velocemente”, ha detto Zelensky, soffermandosi sull’interazione costruttiva con il repubblicano. Ma da Mosca frenano. Non riesco a immaginare” come il presidente eletto Usa possa risolvere il problema dell’Ucraina, “aspetteremo le proposte”, l’analisi del ministro degli Esteri Sergey Lavrov. Il Cremlino non si smuove dal discorso di Putin dello scorso 14 giugno, in cui poneva come condizioni per la ripresa di colloqui di pace la rinuncia di Kiev all’adesione alla Nato e il ritiro dei soldati ucraini dalle quattro regioni ucraine che Mosca ha illegalmente annesso nel 2022.

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Tornando al campo di battaglia, la situazione è complessa. L’invasione del Kursk ordinata a sorpresa da Zelensky non ha avuto gli effetti sperati, ossia fare spostare le truppe russe nel Donbass e trasformare quel territorio in merce di scambio in sede di trattative per l’accordo di pace. Mosca vuole recuperare la regione e per questo motivo ha dispiegato i soldati nordcoreani, evitando così di disimpegnare personale dalla prima linea del Donetsk e del Luhansk. Le forze di Zelensky non in evidenti difficoltà e c’è grande preoccupazione per la possibile pioggia di fuoco costante da parte delle forze russe. Come ricordato dal Messaggero, non è stata casuale la puntualizzazione del segretario generale della Nato Mark Rutte: “Dobbiamo aumentare il nostro sostegno all’Ucraina, anche tramite difese aeree e missilistiche per proteggere le infrastrutture critiche”.

Una possibile soluzione è il congelamento del conflitto, con una linea del fronte immobilizzata con una zona cuscinetto formata da centinaia di migliaia di chilometri di lunghezza. Contestualmente, l’accelerata sul negoziato. Zelensky potrebbe dover fare i conti con la richiesta di considerare perse sia Crimea che Donbass. Non mancano i candidati per la mediazione: dalla Turchia all’Arabia Saudita, passando per gli Emirati Arabi Uniti, molti attori si sono resi disponibili per l’intesa come già avvenuto per i prigionieri di guerra e il grano. Ora è una corsa contro il tempo, con l’obiettivo di raggiungere più obiettivi possibili prima della nuova fase.

Franco Lodige, 16 novembre 2024

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