Cronaca

Un altro buono getta la maschera: Montanari vuol ‘cacciare’ i migranti

La lettera del rettore progressista: “Problemi con i rifugiati pachistani alla mensa dell’Università”. Che fine ha fatto l’accoglienza a tutti i costi?

Tomaso Montanari © STILLFX tramite Canva.com

Non è razzista lamentarsi dei pakistani, basta chiamarsi Tomaso Montanari, essere il rettore dell’Università per stranieri di Siena e paladino dell’integrazione. Dovete sapere infatti che a Siena l’Università inclusiva per eccellenza ha concesso agli studenti pachistani che frequentano il corso di lingua italiana (gratuito) di utilizzare la mensa di Sant’Agaata anche la sera per poter consumare un pasto caldo. Accoglienza. Accoglienza per tutti. Solo che nei giorni scorsi il rettore è stato costretto a scrivere una lettera indirizzata a tutti i soggetti istituzionali che compongono il tavolo che si occupa dei pakistani (sindaco, questore, prefetto, cardinale e Asl) per metterli a conoscenza “delle molteplici segnalazioni che ci sono pervenute in seguito all’utilizzo scorretto, da parte dei rifugiati, degli spazi della sede” dell’Ateneo.

Di quali disagi parliamo? “Le problematiche non riguardano solo l’uso improprio dei servizi e degli spazi – ammette Montanari – ma anche casi spiacevoli di comportamenti indecorosi nei confronti di chi lavora presso l’ateneo e nei confronti delle studentesse e degli studenti che frequentano le lezioni”. Da qui la “minaccia”: “Se tali condizioni continueranno a manifestarsi, per l’Ateneo potrebbe essere difficile proseguire nel sostegno ai rifugiati e il Dsu potrebbe non continuare ad accettarli e terminerebbe, quindi per loro, la possibilità di accedere alla mensa”. Tradotto: va bene l’accoglienza, ma non a tutti i costi se gli ospiti non rispettano un minimo di decenza e non dimostrano di sapere convivere con le regole. Che poi è il messaggio politico che da tempo portano avanti i vari Matteo Salvini e Giorgia Meloni, da sempre avversati dal rettore Montanari e accusati a più riprese di xenofobia contro neri e musulmani.

Dopo la pubblicazione della lettera, che doveva rimanere riservata (ciao core), il rettore ha redatto una nota per spiegare meglio la situazione anche se la toppa non copre del tutto il simpatico buco. “Con uno sforzo economico che trova pochi paragoni se parametrato al bilancio delle istituzioni senesi – si legge – l’Università per Stranieri di Siena sostiene la possibilità di cenare presso la mensa del DSU dal febbraio 2023 a tutti i rifugiati pakistani iscritti ai suoi corsi di lingua italiana: è una precisa scelta politica e culturale, e l’ateneo è intenzionato a continuare”. Ma non a tutti i costi, appunto. Mancando “i servizi essenziali” che, a detta di Montanari, dovrebbe garantire il Comune, cioè la collettività generale, e che altrimenti i pakistani finiscono col “cercare impropriamente nella struttura della mensa, provocando immaginabili problemi”, il rischio è di dover dire addio ai poveri rifugiati. E lasciarli al proprio destino.

E pensare che al lancio dell’iniziativa Montanari aveva sottolineato come l’ateneo non potesse “ignorare i corpi e i destini delle persone che vivono in condizioni indegne della nostra civiltà”. “Come possiamo, noi, continuare a vivere nelle nostre tiepide case?”, si chiedeva tempo fa l’intellettuale. Ha trovato la risposta. Perché aprire le porte va bene, dimostrarsi aperti al prossimo anche, aiutare quei “corpi che vivono in condizioni indegne” è lodevole, ma evidentemente ci sono dei limiti di decenza anche per chi si professa progressista. Se nulla cambierà, infatti, il rispetto degli ambienti universitari e la serenità degli studenti avranno la meglio sulle scelte politiche di accoglienza e Montanari chiuderà la mensa ai pachistani. Per Tomaso, un bagno di realtà.