La Giornata della memoria (27 gennaio) e la Giornata del ricordo (10 febbraio) mi provocano profonda tristezza. Non per i fatti tragici che evocano, né per la memoria separata che rappresentano, bensì per l’immagine che riflettono come in uno specchio del Paese diviso che siamo.
La memoria è divisa e separata per sua natura: ognuno ha i suoi ricordi. Non può destare scandalo che vi siano “giornate” e “nottate” diverse e ricordi differenti. Ciò che, invece, è scandaloso è la riduzione della storia, tramite le istituzioni, a coltivazione di orti separati. La storia, infatti, non è divisa e ha l’unità nella cultura che la riconosce nel suo valore umano con cui i fatti conosciuti – il passato – diventano forza e ragione per la vita civile: il presente. Purtroppo, all’Italia questa cultura, sia storiografica sia politica, fa difetto a tal punto che le due Giornate non solo sono diverse ma, addirittura, sembrano come i due secoli del Manzoni nella famosa ode per Bonaparte: l’un contro l’altro armato. Perché?
Perché la cultura politica italiana non è stata e non è tuttora anti-totalitaria. Abbondano gli antifascisti, ci sono gli anticomunisti ma gli anti-totalitari ossia realmente liberali sono la minoranza di una minoranza.
La presenza per tutto il Novecento e fin dopo la caduta dell’Urss del maggior partito comunista dell’Occidente non ha mai consentito la nascita della cultura anti-totalitaria, mentre l’antifascismo da posizione politica è stato trasformato in petizione ideologica usata come una clava per escludere dal consesso civile chi osava dichiararsi anti-comunista. I meno giovani ricorderanno la formula dell’ “arco costituzionale” che fu attiva fino a quando Silvio Berlusconi “sdoganò” – così si diceva – la destra del Msi e avviò così la Seconda repubblica. Ma eravamo già ampiamente in ritardo con la storia e anche con la geografia.
Le conseguenze di tale cultura illiberale arrivano fino all’attuale cosiddetta Terza repubblica e le paghiamo in termini politici, economici e sociali a caro prezzo: con il fallimento della democrazia dell’alternanza; con il giustizialismo con cui l’uso politico della giustizia “giustizia” l’avversario e il passato; con un movimento politico come i Cinque stelle che non nasconde la propria natura totalitaria con la volontà di abbattere la democrazia rappresentativa – unica democrazia possibile – e instaurare una democrazia diretta che è sempre una democrazia diretta da un demagogo, proprio come avveniva nelle cosiddette democrazie popolari dell’Est.
Norberto Bobbio amava ripetere questa frase: tutti i democratici sono antifascisti ma non tutti gli antifascisti sono democratici. Se allarghiamo la frase, tristemente vera, anche sul versante anti-comunista, abbiamo esattamente la condizione nella quale ci troviamo: fantasmi, spettri, simulacri di fedi politiche illiberali del passato rinnovano mentalmente e virtualmente una guerra civile dalla quale non siamo mai usciti se non trasformando all’italiana la tragedia in farsa. Siamo specializzati nella rimozione del passato per riproporlo nel futuro. Non siamo, invece, capaci di comprendere la storia per liberarci da passioni inutili ed emendarci dagli errori del presente.
Forse, è il nostro destino: l’eterna commedia di un Paese culturalmente diviso e minore.
Giancristiano Desiderio, 6 febbraio 2019