Ora che è scoppiato anche questo farlocco “Russiagate”, cosa aspetta Matteo Salvini ad andare a votare a settembre, prima che la solita compagnia di giro lo faccia a pezzi? Forse per capirlo occorre scomodare un medico e politico inglese, Lord David Owen, che si è occupato scientificamente di “egocrazia”. Questa teoria viene soprannominata la “sindrome di Hybris” e spinge gli uomini di potere a sentirsi simili agli Dei, per poi finire puniti per il loro orgoglio. Renzi docet. Caratteristica principale: non affrontare la realtà dei fatti e non seguire i consigli, anche degli uomini più vicini; nel caso di Salvini quelli di Attilio Fontana e di Luca Zaia, fino a quelli di Giancarlo Giorgetti che, invece, per la lunga esperienza romana, è più sensibile ai veleni dei Palazzi.
Il “Russiagate”, che già negli Stati Uniti contro Donald Trump si è rivelato un flop, è solo l’ultimo tassello di una strategia a tenaglia che parte da lontano. Gianluca Savoini, fantomatico agente della Lega al Cremlino, non è certo una novità. È certamente “attenzionato” da anni, visto che perfino Paolo Madron ed io, nel libro “I potenti al tempo di Renzi” nel 2015, ce ne siamo occupati a lungo. A Mosca, Salu, come lo chiamano affettuosamente a via Bellerio, sede storica della Lega, ha però un nemico potente: Antonio Fallico. Siciliano di Bronte, ex comunista, da sempre nella capitale russa il quale però si era fatto in quattro per accreditare al Cremlino Flavio Tosi, avversario storico di Salvini. Fallico, che tutto vede e tutto sa all’ombra del Cremlino, segue giorno per giorno le mosse di Savoini, soprattutto da quando si era legato ad Irina Osipova, una bionda fascinosa, Presidente di Rim, un movimento di giovani italorussi ben visti a Villa Abamelek, ambasciata russa a Roma.
Prepariamoci quindi ad assistere alla solita fiction, all’immancabile fascicolo già aperto dalla Procura di Milano, a fiumi di intercettazioni grazie ai Trojan che saranno in funzione da chissà quanto tempo, e a foto di Irina con il Capitano o quella apparsa ieri, scattata a Villa Madama da barbefinte in servizio permanente, che ritrae Savoini a cena durante la recente visita di Putin.
Ma c’è un retroscena che in pochi hanno colto e che vale la pena di raccontare. Nell’attesa che lo zar arrivasse al Quirinale con il solito garbato ritardo, in una saletta attigua alla cerimonia si sono incontrati, assieme a pochi intimi, proprio Di Maio e Salvini. Il Presidente della Repubblica ha percepito perfettamente che l’afflato mistico che correva fra i due, una sorta di incantesimo, è svanito e gli strali della campagna elettorale non si sono affatto ricuciti. Né si riesce a trovare l’accordo sulla Flat tax, che la Lega vuole ma i grillini svuotano ogni giorno di più di significato, e sulle Autonomie regionali, anch’esse bloccate dal M5Stelle. Con la sottile strategia grillina di mettere Matteo contro la sua stessa base elettorale per logorarlo dall’interno.
Quanto bisogno ha Salvini di portare avanti questa alleanza, con un patto di governo che non regge più e che non viene neppure aggiornato, per di più con un Premier come Conte che, capita la mala parata, va ormai a ruota libera inseguendo anche lui il suo smisurato ego? Instagram, intercettazioni, inchieste, audio carpiti, cosa teme Salvini? Credo davvero nulla. Anzi, se mollasse gli ormeggi, tutto questo chiacchiericcio lo aiuterebbe a stravincere le elezioni. Perché gli italiani di questo continuo tiro al bersaglio non ne possono più. Con buona pace dei soliti noti.
Luigi Bisignani, Libero 12 luglio 2019