Politica

“Una patente a punti per le aziende”. Perché è folle l’idea di Landini

landini aziende © Warchi tramite Canva.com

Come da copione, la sciagura di Firenze ha scatenato le orde fameliche della sinistra bolscevica, con in testa il sempre più esagerato Maurizio Landini.
Quest’ultimo, alla evidente ricerca di un approdo politico di primissimo piano, sta facendo il giro delle sette chiese televisive per spiegare quanto sia cattivo il governo delle destre che toglie i diritti ai lavoratori, rendendo più insicuri i luoghi di lavoro.

In particolare, il leader della Cgil ha rispolverato dal suo vetusto repertorio di regole (regole che, come giustamente scrive Nicola Porro, non vanno ulteriormente ampliate, bensì solo fatte rispettare) uno suo antico pallino, che ripropone ogniqualvolta accada una disgrazia di rilevanza nazionale: la patente a punti per imprese appaltatrici.

Intervistato da un compiacente David Parenzo, Landini si è così espresso durante una puntata di L’aria che tira, in onda su La7: “Noi stiamo chiedendo da tempo una patente a punti. Ciò vuol dire che bisogna introdurre un sistema per le imprese che si mettono in gioco per avere gli appalti. Esse debbono avere una patente, tra virgolette, che certifica che loro non hanno avuto incidenti, che non hanno avuto problemi, che hanno rispettato le regole. E se invece uno non è così, deve essere in condizione di non poter lavorare ancora.”

Ora, precisando ancora una volta che la mortalità sui luoghi di lavoro – mortalità che per circa due terzi riguarda decessi avvenuti alla guida di autoveicoli – è stabile da decenni, la proposta di Landini rappresenta uno dei più classici esempi di eterogenesi dei fini.

Infatti, anziché rappresentare un antidoto contro le fatalità e gli errori umani – elementi che fanno parte della nostra esistenza -, questa sorta di lasciapassare per gli appalti rischierebbe di escludere tutte quelle aziende che, magari senza particolari responsabilità soggettive, sono incappate in qualche incidente sul lavoro. Ciò, come spesso accade quando le regole diventano troppo restrittive, spingerebbe le medesime imprese ad occultare anche il minimo infortunio pur di non farsi appioppare i punti del discredito professionale.

In realtà, occorrerebbe muoversi nella direzione opposta rispetto a quella da bolscevichi proposta dalla Cgil, riformando il mondo del lavoro con regole più semplici e chiare, mettendo in grado le aziende in grado di rispettarle senza troppi patemi d’animo. Quando invece le stesse regole sono troppe ed eccessivamente complicate e formali accade esattamente il contrario, spingendo il mondo del lavoro verso una deriva anarchica.

Claudio Romiti

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