Pubblichiamo l’intervento sulla Staffetta Quotidiana di Gianluca Alimonti, professore alla facoltà di Scienze e tecnologie dell’università degli studi di Milano.
La nostra civiltà necessita di una transizione energetica, imposta non solo dal riscaldamento del pianeta ma anche dall’ineludibile esaurimento delle risorse fossili (risorse che sono state alla base del progresso dell’ultimo secolo) e dall’impatto sanitario dell’inquinamento. Un’eventuale emergenza climatica supportata da un crescente impatto sanitario ne imporrebbe l’urgenza ed una specifica direzione (transizione ecologica); tutte le osservazioni (danni economici normalizzati per il Pil e disastri naturali in diminuzione, produzione agricola mondiale così come il “greening” del nostro pianeta crescenti da decenni ed i decessi da disastri naturali in costante diminuzione) concordano però nel mostrare che non siamo in una emergenza climatica tanto che l’Ipcc nel suo recente report AR6 non ne parla mai.
Questo è un punto fondamentale da cui sviluppare le politiche per una transizione efficace. Le differenze tra transizione energetica e transizione ecologica sono sottili ma in alcuni casi fondamentali e diverso è il traguardo che si vuole raggiungere, in particolare per l’Ue. I target Ue al 2020 sono stati raggiunti ma le motivazioni che li hanno originati, come delineate dalla Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo e al Parlamento Europeo “Una Politica Energetica per l’Europa”, ove si legge “L’Europa deve agire adesso per garantire un’energia sostenibile, sicura e competitiva”, sono ancora disattese: la dipendenza energetica Ue è aumentata, i prezzi dell’energia sono cresciuti e se per sostenibilità ci si riferisce alle emissioni globali, queste sono cresciute di oltre il 60% negli ultimi 30 anni a fronte di un peso delle emissioni Ue passate dal 14% ad un misero 7%.
Nonostante ciò si vogliono riproporre le stesse soluzioni portando la riduzione delle emissioni al 55% nel 2030 ed addirittura al 90% nel 2040. Ma ha senso questa inarrestabile corsa al rialzo? Si possono forse rimodulare gli obiettivi sulla base delle motivazioni che li hanno originati ed in considerazione delle politiche energetiche globali? Osserviamo inoltre che i target non spingono necessariamente nella stessa direzione. L’esempio più semplice a cui si può pensare è la Ccs: riduce le emissioni originando però un aumento dei costi ed una minor produzione di energia, non aiutando certamente la competitività delle industrie Ue e tanto meno la sicurezza degli approvvigionamenti. Sappiamo che l’Ue è assetata di energia e dipende sempre più dalle importazioni.
Sulla base delle considerazioni precedenti, una rimodulazione dei target potrebbe essere: massimizzare l’incidenza di tutte le fonti sostenibili (non esauribili a breve e con un limitato impatto ambientale), utilizzare l’efficienza energetica sulla base del rapporto costi/benefici e non come target (quando ad esempio risulta più conveniente scaldare installando un buon impianto solare piuttosto che spendere un capitale per isolare la casa, non ha molto senso privilegiare l’efficienza) e annullare ogni target sulla riduzione delle emissioni, che in alcuni casi può essere da ostacolo ad un maggior sviluppo delle rinnovabili (le instabilità della rete originate dalle rinnovabili intermittenti possono essere equilibrate da poche e piccole centrali a gas che però non sono utilizzabili con un target sulle emissioni posto al 90%).
Mi auguro che la nuova Commissione Ue possa prendere in considerazione questa idea anche se mi rendo conto che possa essere ritenuta una proposta “indecente” ma, si sa, ogni epoca ha i propri tabù che il tempo insegna a superare.