Un reato che fa rammentare quello del vilipendio al Presidente della Repubblica, che nel codice penale (articolo 278) ha preso il posto del vilipendio al Re, come se l’inquilino del Quirinale fosse sostanzialmente lo stesso come “rappresentante” del popolo, sia che si tratti di Monarchia, sia che si tratti di Repubblica. Qualcosa dovrebbe esserci di diverso, tra le due forme istituzionali. Qualcosa di diverso per i cittadini che non dovrebbero più essere giudicati per “lesa maestà”, che si tratti di maestà di un re, di un presidente o di un magistrato.
Sarà sempre troppo tardi il giorno in cui si dovesse provvedere alla cancellazione di simili reati, peraltro “utilizzati” anche in questi anni. Ricordiamo il processo subito da Francesco Storace (con assoluzione provvidenziale e sacrosanta) per una causa di vilipendio contro il presidente Napolitano. O la condanna subita in via definitiva dal senatore Bossi, sempre per vilipendio contro Napolitano. Bossi fu graziato da Mattarella. Ma sarebbe stato anche più importante se Mattarella si fosse intestato l’iniziativa di cancellare il reato. E invece un noto militante dell’estrema destra, il docente universitario Marco Gervasoni, è inquisito per questo reato consumato contro Mattarella. E una parlamentare grillina ha rischiato la stessa sorte.
Il tredicesimo Presidente della Repubblica saprà distinguersi dall’eredità monarchica che lo pone sotto una minacciosa teca di protezione formale? E visto che è la massima magistratura dello Stato, saprà cancellare anche l’oltraggio al magistrato? Speriamo.
Antonio Mastrapasqua, 25 gennaio 2022