Abbiamo le università tra le migliori al mondo, dicono, ma i risultati non si vedono. L’annuale classifica delle università migliori al mondo ci riempie di orgoglio. Nella top ten ci sono il Politecnico di Milano, la Sapienza di Roma per gli studi classici, la Bocconi di Milano per quelli economici ed entrano anche la Normale di Pisa per la fisica e la LUISS di Roma. Perfetto, siamo davvero molto bravi. Ma se le università sono delle eccellenze, significa ovviamente che pure gli studenti lì laureati sono eccellenti. E allora, come spiegarsi che in Italia gli ingegneri del Politecnico, i professori e i medici della Sapienza, i ricercatori della Normale sono tra i meno pagati al mondo? Qualcosa non funziona, non è logico.
Prendiamo un giovane ingegnere, stipendio di partenza dopo sei anni di studio tra i 1000 e i 1500 euro al mese, più o meno la paga di un coetaneo cameriere al netto delle mance. All’estero lo stesso ingegnere parte con una retribuzione tra le 3 e le 4 volte superiore nelle Stati Uniti, addirittura 5 e nella maggior parte dei casi i ragazzi non sono così preparati. E quindi siamo al paradosso che il sistema scolastico italiano eccellente investe per aiutare a crescere la ricerca e le aziende di altre nazioni. Ecco, noi pensiamo che questo problema di cui nessuno parla sia di gran lunga più importante e urgente da risolvere di quelle delle coppie gay o degli immigrati che tanto appassionano i mezzi di comunicazione e l’opinione pubblica.
Guardando la classifica delle università è chiaro che a noi non manca l’intelligenza, mancano i soldi per trargli il vantaggio dal fatto che siamo intelligenti. Ma attenzione, non è che se piove il governo, e non mi riferisco solo a quello di oggi in carica, debba essere per forza ladro. Nel senso che, per fortuna, tra i poteri del governo non c’è quello di stabilire gli stipendi delle aziende private.
E allora, cari imprenditori, sarebbe utile che ci spiegaste perché avete per le mani dei potenziali Leo Messi e li trattate come dei brocchi di periferia. Lo chiedo al Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, giustamente sempre in prima linea a lamentarsi delle politiche economiche del governo. Ma scusi, Presidente, delle politiche salariali dei suoi aderenti, neppure una parola? Così, tanto per capire e perché la classifica delle nostre università non ci consegni medaglie sì, ma medaglie di tolla.