Esteri

Università Usa e odio per gli ebrei: lascia il rettore degli audio choc

La presidente dell’ateneo di Pennsylvania si dimette. In bilico quelli di Harvard e del MIT dopo l’accusa di antisemitismo

antisemitismo nelle università Usa

Non si placa la bufera contro le tre presidenti delle università di Pennsylvania, Harvard e MIT dopo l’audizione al congresso lo scorso 5 dicembre, i cui video sono diventati virali.

Nella giornata di sabato, la presidente dell’Università della Pennsylvania Liz Magill ha rassegnato le dimissioni, restando però parte del corpo docente dell’università. Diventata famosa per aver sostenuto che le invocazioni ad un nuovo olocausto da parte degli studenti vadano contestualizzate, la Magill è stata al centro di una bufera che ha portato molti donatori dell’università a ritirare i loro finanziamenti. Le sovvenzioni private sono una parte centrale del bilancio dei grandi atenei Usa, e la lettera aperta del miliardario Ross Stevens che ha annunciato il ritiro di un programma di finanziamento da 100 milioni di dollari ha fatto da aprifila per azioni simili da parte di altri donatori.

Chiunque abbia seguito la vicenda si è posto almeno due domande. Innanzitutto, perché tanta reticenza nel condannare atti apertamente antisemiti? Per convenienza, le tre presidenti avrebbero potuto condannare per poi continuare a pensarla come volevano. Secondariamente, perché le intimidazioni contro gli ebrei nelle università non hanno causato nemmeno una frazione delle manifestazioni di piazza e delle campagne mediatiche che seguono episodi simili quando le vittime sono gli afroamericani? La risposta è che l’antisemitismo non è che la punta di un iceberg estremamente massiccio, un monumento ideologico montato in decenni che ha portato la religione woke-antioccidentale a saldarsi con parte della politica (l’ala sinistra del Partito Democratico) e della classe dirigente (le grandi università private) creando un vero e proprio anti-stato.

Un esempio di questo è la presidente di Harvard Caroline Gay, nominata il primo luglio di quest’anno, la prima donna e la prima afroamericana (quindi una persona buona e giusta) a dirigere l’università più prestigiosa del mondo. Ancora al timone dell’ateneo, oggi è però data in forte bilico. All’audizione del 5 dicembre, la Gay si è distinta per la sua risposta alla domanda “che azioni sono state prese contro gli studenti che hanno invocato il genocidio degli ebrei?”. Risposta: “Dobbiamo garantire agli studenti il diritto alla privacy”. Frase peculiare se si pensa che nel 2018 la professoressa Gay era stata tra i protagonisti di un panel di Harvard che sospese e spinse alle dimissioni il professor Roland Fryer, accusato di “commenti inappropriati” verso due ex assistenti.

Fryer è un afroamericano, celebrato dal Wall Street Journal come uno dei migliori economisti al mondo, riuscì ad attrarre ad Harvard 33 milioni di finanziamenti, in prima linea contro le violenze della polizia verso gli afroamericani, ma con un grande difetto: sprezzante e molto critico verso l’ideologia woke. In pieno fervore MeToo, Fryer venne spinto alle dimissioni per “commenti inappropriati”, senza mai essere condannato da un tribunale per questo.

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Caroline Gay, in prima linea contro Fryer, non si era posta problemi di privacy quando il professore venne messo alla berlina sui principali quotidiani Usa. Oggi, per lei, condannare esplicitamente l’antisemitismo vorrebbe dire rinnegare uno dei principi cardine dell’ideologia woke (la civiltà europea giudaico-cristiana che sottomette il mondo). Il miliardario (democratico) Bill Ackman è stato l’unico, per il momento, a dichiarare apertamente che la Gay è stata nominata solo ed esclusivamente per seguire i princìpi di diversità e inclusione di cui Harvard è la massima portavoce.

Una dichiarazione del genere avrebbe scatenato un inferno di polemiche solo un anno fa. Il silenzio-assenso che ne è seguito dimostra sia quanto il suo pensiero sia condiviso dai più, sia quanto l’ipocrisia che riveste il mondo woke-progressista sia ancora difficile da affrontare a viso aperto.

Pietro Molteni, 11 dicembre 2023