Rassegna Stampa del Cameo

In Occidente il quoziente d’intelligenza ha smesso di crescere. E se la causa fosse…

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Trent’anni fa con la caduta del muro di Berlino, l’implosione del comunismo sovietico, l’inizio del ceo capitalism, globalizzato e vincente, entrammo in una nuova epoca. Su un punto molti di noi convenivano: il livello del Quoziente d’intelligenza (QI) medio (sottolineo “medio”) della popolazione sarebbe aumentato.

Il cosiddetto “Effetto Flynn” (dal nome dello studioso James Flynn), individuato negli anni Ottanta del Novecento, continuava infatti nel suo progressivo aumento, con una crescita media di 3 punti per ogni decennio. Per esempio, la popolazione statunitense ha consuntivato un aumento del QI, dal 1938 al 1984, di ben 13 punti. Flynn osservò come l’aumento fosse più marcato nei test che misuravano l’intelligenza fluida rispetto a quella cristallizzata. Gli studiosi si convinsero che questo aumento poteva essere stato influenzato da un’alimentazione più ricca, da un aumento della scolarizzazione, da una necessità di lavori che richiedevano di risolvere problemi logici, al limite astratti.

Una recente ricerca condotta da Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica in Norvegia ribalta questa prospettiva. Impressionante il numero dei test effettuati dal 1970 al 2009 dai due studiosi: 730.000. Lo studio pubblicato dalla rivista Proceedings of  National Academy of Sciences è stato per noi occidentali, almeno per quelli ancora senza l’anello al naso del politicamente corretto, una vera e propria doccia fredda: non solo l’indice ha smesso di crescere, peggio sta calando per ciascuna delle ultime generazioni. Si aggiungano altre possibili influenze, come il cambiamento dello stile di vita, dei sistemi educativi, dell’utilizzo dei videogiochi, in luogo dei libri, etc.

Il dato che emerge dallo studio è impressionante: il Quoziente d’intelligenza (QI) da qualche decennio ormai scende di 7 punti ogni generazione (sic!). Un ragionamento elementare il mio. Se quando l’indice del QI saliva e gli studiosi di regime lo spiegavano come frutto di una miglior alimentazione, una più efficace scolarizzazione, un più coerente stile di vita, un aumento dei consumi culturali (vedi libri) e ora se da decenni è in caduta non dovrebbe significare che il modello politico-economico-culturale basato sul più selvaggio e dominante ceo capitalism si sta rivelando fallimentare?

Come ex ceo di multinazionali imprestato al giornalismo non mi permetto, nei giudizi di merito, sostituirmi agli scienziati della sociologia, però di una cosa sono certo. In termini politici, si deve partire da un dato di fatto: il modello del ceo capitalism è incompatibile con la democrazia parlamentare, mentre è perfetto per regimi dittatoriali nazi, com’è la Cina di Xi Jinping dove in effetti è già operativo.

La governance cinese è impeccabile alla bisogna: Xi nomina 2.800 gerarchi che poi lo votano dittatore a vita (fino al 2049), gestendo una holding di monopoli statali mascherati da privati. E noi lo esaltiamo, commerciando con lui, accettando ogni violenza. Non capisco la ratio che guida noi occidentali, ma tant’è: quelli fuori dal mainstream dominante, come me, sono oggettivamente irrilevanti (per ora).

Riccardo Ruggeri, 19 giugno 2018