Neanche questa sofferta, divisiva, estenuante campagna elettorale negli Stati Uniti ha silenziato il battere dei martelli (ideologici) della cancel culture. Non sono andati per nulla in pausa, all’ombra dello scontro Trump-Biden, i compilatori delle liste di proscrizione della storia, i cacciatori di segregazionismo e mascolinità tossica in ogni pertugio, gli psico-poliziotti pronti a schedare autori, scienziati, politici del passato rei di aver vissuto, perché era lo spirito del tempo, immersi in valori che non sono più quelli di oggi.
Follia politicamente corretta
E però forse alla Brown University, Ateneo del Rhode Island, è stato toccato un punto di irreversibile pornografia oscurantista. Lì, è operante un gruppo denominato “Dab” acronimo di ciò che in italiano è “Decolonizzazione alla Brown”. In pratica, gli studenti che ne fanno parte si occupano di promuovere campagne volte a riconvertire i simboli e le iniziative dell’Ateneo secondo il dogma del politicamente corretto, depurando tutto lo scibile seguendo l’ondata del Black Lives Matter e compagini affini. Ebbene, da qualche settimana nel mirino del “Dab” sono entrate due statue che raffigurano rispettivamente Marco Aurelio e Cesare Augusto e che campeggiano nell’Ateneo dagli inizi del secolo scorso.
Gli studenti chiedono di rimuoverle perché, secondo loro, la loro presenza richiamerebbe alla “supremazia della civiltà bianca”. E non solo. Queste statue, infatti, avrebbero anche la colpa di rappresentare dei canoni estetici di perfezione, ovviamente intollerabili per i censori contemporanei. Sorprendentemente a corto di temi importanti da affrontare proprio nell’anno del Covid e delle elezioni per la Casa Bianca, alla Brown si è innescata una trattativa. Il consiglio dell’università al momento ha deliberato di non far sparire le statue, ma ha aperto alla possibilità di cambiare collocazione, in luoghi più marginali dell’Ateneo.
Bianchetto sulla storia
Gli studenti del Dab, ovviamente, non si accontenterebbero di questa soluzione e dunque è ancora accesa questa estenuante trattativa sul nulla. A corredo, gli implacabili oscurantisti chiedono di valorizzare forme d’arte provenienti dalla cultura nera e indigena seguendo, in sostanza, lo stesso schema applicato con il povero Cristoforo Colombo. In molte città degli Stati Uniti, infatti, il giorno a lui dedicato il 12 ottobre è stato sostituito da una commemorazione degli indigeni. E così prova ad avanzare quest’onda che vuol stendere il bianchetto sulla storia, coprendone la complessità con passate di luoghi comuni.
Chissà se questi ragazzi avranno letto, tanto per restare in tema di cultura classica, il carme che Catullo dedica ad Ipsitilla, dove l’ardore sessuale tracima in espressioni – per quanto poggiate sul tappeto della metrica – assolutamente degne della telefonata ad una linea erotica. Lì troverebbero sicuramente le impronte della “mascolinità tossica”.
E indietro, ancora indietro, fino all’uomo di Neanderthal, che probabilmente non conquistava le sue donne con i fiori o le serenate. Chissà, magari qualcuno proporrà la rimozione dei suoi resti nei vari musei. Fin quando non resterà più niente, in questo sabba del paradosso, dove chi predica pace e libertà cade nell’esatto contrario. Perché esiste società più sottomessa di quella che non ha più memoria.
Pietro De Leo, 15 novembre 2020