La Groenlandia ha dato un segnale forte e deciso al vicepresidente statunitense JD Vance, nel giorno dell’arrivo della sua delegazione a Pituffik, remota base spaziale Usa. Dopo il voto che ha sancito l’esito delle elezioni del 11 marzo, la Groenlandia ha annunciato la formazione di un nuovo governo di coalizione, segnando una chiara posizione contro l’influenza di Donald Trump. La coalizione sarà guidata dal moderato Jens-Frederik Nielsen, leader del partito Demokraatit, che ha visto un successo travolgente, triplicando la sua rappresentanza in Parlamento e diventando il primo partito con 10 seggi.
Sin dall’inizio della campagna elettorale, Nielsen aveva esortato gli altri partiti a mettere da parte le divergenze per formare rapidamente un ampio esecutivo di unità nazionale, un gesto necessario per contrastare la crescente pressione di Washington sul Paese, che rischia di essere trasformato in un obiettivo per l’annessione. Il suo appello è stato ascoltato da quattro dei cinque partiti politici, che insieme controlleranno 23 dei 31 seggi nell’Inatsisartut, il Parlamento unicamerale. L’unico partito che non ha aderito alla coalizione è Naleraq, forza sovranista che invece spinge per un referendum immediato sull’indipendenza dalla Danimarca. La posizione di Nielsen è ben più cauta: favorevole alla secessione, ma solo quando il Paese avrà risolto le sue problematiche interne.
Il nuovo governo ha subito ricevuto le congratulazioni della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha colto l’occasione per lanciare una velata critica a Washington. Su X, la von der Leyen ha scritto: “Vi meritate partner che vi rispettino e vi trattino da pari a pari. L’Unione Europea è orgogliosa di essere un partner di questo tipo”. Intanto, la visita del vicepresidente Vance, accompagnato da sua moglie Usha, dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, dalla sua consorte Julia Nesheiwat, dal segretario all’Energia Chris Wright e dal senatore dello Utah Mike Lee, si è rivelata tutt’altro che facile. Ridimensionata rispetto ai programmi iniziali, la visita ha visto la cancellazione della partecipazione ad una gara di slitte trainate da cani, e nessun invito da parte delle autorità locali. A rendere ancora più amaro il soggiorno, secondo un servizio trasmesso da TV2, nessun abitante della Groenlandia ha accettato di farsi fotografare con la seconda signora degli Stati Uniti, Usha Vance.
Nonostante queste difficoltà, Vance, primo vicepresidente Usa a visitare l’isola e il più alto esponente americano dopo Donald Trump Jr., non ha esitato a criticare i leader danesi per non aver “fatto un buon lavoro” e aver investito troppo poco in Groenlandia, lasciando il territorio vulnerabile alle pressioni di Mosca e Pechino. Ma il vicepresidente ha anche tenuto a minimizzare le dichiarazioni bellicose di Trump sull’uso della forza, affermando che “non pensiamo che la forza militare sarà mai necessaria”. Secondo Vance, la vera soluzione sarà che i groenlandesi scelgano, attraverso l’autodeterminazione, l’indipendenza dalla Danimarca, e successivamente gli Stati Uniti avranno delle “conversazioni” con loro, per arrivare a un accordo che garantisca la sicurezza del territorio e degli Usa. Vance ha anche annunciato che Washington investirà ulteriormente nella regione, in particolare con l’invio di navi e rompighiaccio militari.
In precedenza Trump aveva rilasciato dichiarazioni più vaghe ma altrettanto intimidatorie, affermando che “abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza internazionale”, e che “penso che capiranno, altrimenti glielo spiegheremo”. La sua posizione continua a fare eco a un progetto annessionistico che secondo molti critici ricalca quello di Vladimir Putin in Ucraina, con l’aggravante che la Groenlandia è un Paese alleato nella Nato. Lo zar, pur continuando a rafforzare la presenza russa nell’Artico, ha concesso implicitamente a Washington un via libera, riconoscendo che i piani degli Stati Uniti per la Groenlandia “sono seri” e hanno “profondi legami storici”.
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Con questo blitz in Groenlandia JD Vance sta cercando di uscire dall’ombra di Trump e consolidare il suo ruolo di antagonista nei confronti degli alleati europei, come già evidenziato nelle sue critiche alla conferenza di Monaco e nelle recenti polemiche emerse dalla chat del Pentagono sui raid contro gli Houthi. Il vicepresidente sembra voler imprimere un’ulteriore accelerazione alle tendenze isolazioniste e populiste economiche del suo ex capo, mentre guarda già a un possibile futuro alla Casa Bianca nel 2028.
Ma perché Trump vuole a tutti i costi la Groenlandia? Appena 56 mila abitanti, l’isola più grande al mondo è ambita per diversi motivi: dalla ricchezza di idrocarburi (petrolio e gas naturale) e terre rare (circa il 70 per cento di quelle ad oggi classificate) alla collocazione ideale lungo una delle principali rotte marittime commerciali al mondo. Le mire di Usa e Cina sono comprensibili, perché proprio dalla Groenlandia sembra passare la transizione ecologica e quella digitale.
Franco Lodige, 29 marzo 2025
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