È arrivato anche l’annuncio del presidente Zelensky: la Russia controlla oltre il 20 per cento del territorio ucraino. Dopo gli assedi di Severodonetsk e del Donbass, come riportato dall’agenzia Unian, gli insediamenti da liberare salgono a cifra 2600. Cifra mastodontica, considerando il fatto che la Russia può disporre di un numero ben più elevato di soldati, riserve e mezzi militari.
I nuovi aiuti dell’Occidente
Nonostante tutto, la situazione potrebbe sbloccarsi, a vantaggio di Kiev, grazie all’aiuto occidentale. In particolare, di Stati Uniti e Regno Unito. L’amministrazione Biden, infatti, ha predisposto l’invio all’Ucraina di “sistemi missilistici Himars per bersagliare obiettivi strategici”. Allo stesso tempo, Boris Johnson recapiterà al governo Zelensky “lanciarazzi M270 a lungo raggio”.
C’è, però, un dato da non sottovalutare: le armi in questione sono potenzialmente in grado di colpire il territorio russo, anche da lunghe distanze. Non è un caso che il ministro degli Esteri, nonché braccio destro di Putin, Sergej Lavrov, abbia allertato l’alleanza atlantica, parlando di “provocazione diretta”, senza escludere “un allargamento del conflitto”.
I lanciarazzi M270, insieme ai missili Himars, rappresenterebbero il più grande aiuto militare a Kiev. Alti funzionari americani hanno confermato che l’Himars sarà “dotato di munizioni che consentiranno all’Ucraina di lanciare missili ad una gittata fino a 300 chilometri”, quasi la distanza che separa la capitale ucraina e la città portuale di Odessa, una delle principali frange di resistenza dell’esercito nazionale.
I sistemi in questione sono già stati utilizzati dall’alleanza atlantica in altri terreni spinosi, Siria ed Afghanistan su tutti, e saranno accompagnati dall’undicesimo maxipacchetto di aiuti, formato da elicotteri, pezzi di ricambio, armi anti-corazza ed anticarro, nonché radar adibiti alla sorveglianza aerea. Il tutto per un valore pari alla cifra di 700 milioni di dollari.
Le garanzie degli Usa
Nonostante tutto, Joe Biden, insieme al sottosegretario di Stato, Anthony Blinken, ha comunque garantito l’intenzione di non voler offrire “sistemi missilistici in grado di colpire la Russia”. La finalità è solo quella di fornire “le armi affinché Kiev sia nella posizione più forte possibile al tavolo delle trattative”.
Eppure, è evidente come qualsiasi missile usato dalla resistenza ucraina, di origine occidentale, possa essere tranquillamente utilizzabile contro territorio russo, a patto che sia sufficientemente vicino al confine.
La frase del presidente americano pare figurarsi come una subdola garanzia: come fa la Casa Bianca a rassicurare che questi aiuti militari non vadano a ledere direttamente la Russia, posto il fatto che l’esercito Usa non è presente su suolo ucraino?
Il discorso rimane ancorato alla teoria, all’immaginazione, ai calcoli, come la questione riguardante la classificazione tra armi di attacco ed armi di difesa, di qualche settimana fa.
È evidente a tutti che l’uso dei mezzi militari varia a seconda dell’esigenza, della discrezionalità e delle scelte dell’esercito in questione. E non è assolutamente scontato che, nel corso del conflitto, originarie armi di difesa si trasformino in mezzi offensivi.
Per onestà intellettuale, c’è da dire, però, che il sistema Himars, destinato agli ucraini, garantirà una gittata massima di 80 chilometri. Sotto questo profilo, ecco che l’amministrazione Biden sembrerebbe offrire sicurezze al Cremlino, circa eventuali attacchi oltre confine, anche se quest’ultimo rimane restio.
Nel frattempo, l’avanzata russa continua a proseguire, seppur non a ritmi spediti. Mentre Downing Street e Casa Bianca cominciano ad alzare l’asticella dei mezzi militari inviati, l’asse europeo assume una posizione terza, maggiormente propensa alla mediazione, al dialogo, al canale diplomatico. Le armi non sembrano dividere solo i due belligeranti, Russia ed Ucraina, ma pare creino spaccature interne alla Nato stessa. E quale sarà la corrente che avrà la meglio? Quella pacifista o quella interventista?
Matteo Milanesi, 2 giugno 2022