Ma in che mani siamo? La domanda sorge spontanea. La notizia è ormai nota in tutto il mondo: l’amministrazione di Donald Trump ha aggiunto per errore un giornalista, il direttore dell’Atlantic Jeffrey Goldberg, a una chat ristretta dove stava pianificando il massiccio attacco del 15 marzo contro decine di postazioni degli Houthi in Yemen. Imbarazzante, semplicemente. A far fare questa brutta figura ai vertici a stelle e strisce è stato lo stesso Goldberg in un articolo sul sito della rivista che dirige: una testimonianza di inadeguatezza visibile a occhio nudo, un allarme gigantesco per la sicurezza nazionale (e non solo).
Andiamo per gradi. “Il 15 marzo, poco prima delle 14, il mondo è venuto a sapere che gli Stati Uniti stavano bombardando obiettivi Houthi in Yemen. Io, tuttavia, avevo già appreso la notizia due ore prima. E il motivo di questa anticipazione è che, alle 11:44 dello stesso giorno, il segretario alla Difesa Pete Hegseth mi aveva inviato un sms contenente il piano d’azione. Il messaggio includeva dettagli precisi su pacchetti di armi, obiettivi e tempistiche delle operazioni”. Questo il racconto di Goldberg, finito nella chat insieme ai massimi esponenti del Pentagono, al vicepresidente JD Vance e altri funzionari di alto livello.
“Non può essere vero?” il commento più che comprensibile di Golberg, che ha ricostruito la vicenda. Tutto è iniziato l’11 marzo, quando, quattro giorni prima dell’invio del messaggio, ha ricevuto una richiesta di adesione a una chat da parte di un certo Michael Waltz. Inizialmente dubbioso sulla veridicità della richiesta, pensava che fosse uno scherzo, ma alla fine ha accettato. Scoprendo così di essere entrato in un gruppo chiamato “Houthi PC small group”, che comprendeva i vertici del Pentagono e della sicurezza nazionale.
Per giorni, ignaro del fatto che fosse presente anche Goldberg, i membri della chat si sono scambiati messaggi ad alta sicurezza, contenenti dettagli sui tempi degli attacchi, le armi da utilizzare, discussioni sul morale delle truppe e perfino critiche all’Europa definita “parassita” dal vice di Trump. La chat non era solo un canale per la pianificazione operativa, ma anche un luogo di scambio sulle decisioni strategiche relative alle imminenti azioni militari.
Alla fine, Goldberg ha deciso di uscire dalla chat. Dopo la pubblicazione del suo articolo, quasi dieci giorni dopo, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale Brian Hughes ha confermato l’incidente, se così può essere bollato, definendo l’inclusione del numero di Goldberg nella chat come un errore. Ha aggiunto che è in corso un’indagine per chiarire come fosse potuto accadere. Donald Trump, pur dichiarando di non essere a conoscenza dell’accaduto, ha colto l’occasione per attaccare “The Atlantic”, definendola una “rivista terribile” e suggerendo che la colpa fosse del giornalista.
Leggi anche:
Gli esperti hanno sottolineato che questo tipo di fuga di notizie potrebbe avere gravi implicazioni per la sicurezza nazionale, la segretezza delle operazioni e l’integrità della pianificazione militare, e che un errore simile non sarebbe mai dovuto accadere. Non si è trattato di una semplice svista, ma di un chiaro segno di quanto facilmente informazioni sensibili possano essere compromesse. Goldberg non esclude che l’incidente possa comportare gravi conseguenze legali per i responsabili della chat.
In base alle prime informazioni circolate, Mike Waltz potrebbe dover essere costretto a dimettersi. Il consigliere potrebbe essere spinto a fare un passo indietro per evitare che il presidente Trump venga messo in una “brutta posizione”. L’ultima parola spetterà proprio al tycoon, che ieri ha affermato di continuare ad avere la “massima fiducia” in Waltz. Una cosa è certa: chi ha fatto una stupidaggine di questo tipo deve essere mandato via, perché non è in grado di difendere la segretezza della più importante nazione del mondo.
Franco Lodige, 25 marzo 2025
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).