Alle 11.59 di giovedì sera è scattato lo sciopero di tredicimila operai del settore automobilistico per il mancato rinnovo dell’accordo sul contratto: si tratta della più grande mobilitazione del comparto auto nella storia americana. Il sindacato dei metalmeccanici, lo United Auto Workers, ha organizzato proteste in tre sedi delle principali case automobilistiche statunitensi: uno stabilimento Stellantis a Toledo, in Ohio; una struttura della General Motors a Wentzville, in Missouri; un centro Ford a Wayne, in Michigan – qui lo sciopero si limita alle operazioni di assemblaggio finale e verniciatura.
I motivi dello sciopero
Per la prima volta un’agitazione operaia coinvolge contemporaneamente i Detroit Big Three. Lo United Auto Workers punta alla fine delle gabbie salariali, alla maggiore sicurezza sul posto di lavoro e all’aumento delle retribuzioni e dei benefici per i dipendenti temporanei e junior di livello inferiore, che attualmente guadagnano 22 dollari l’ora rispetto alla tariffa massima di 31 dollari. Le richieste del sindacato includono un aumento del 40% dei salari: si calcola che il valore delle retribuzioni orarie medie, commisurato all’inflazione, sia sceso del 19,3%.
Ma il punto centrale delle proteste è la lotta alle auto elettriche. Il presidente Biden, facendo propria la battaglia della “transizione ecologica”, ha stanziato fondi miliardari nel settore manifatturiero per avvantaggiare il mercato dei veicoli elettrici: dirigismo economico sgradito ai dimostranti. Il presidente dello UAW, Shawn Fain, vuole che i lavoratori impegnati nella produzione di componenti per le auto elettriche (come le batterie) beneficino di migliori standard salariali.
La Casa Bianca non intende intervenire direttamente nelle trattative, ma spinge per negoziati costanti e per un accordo tra le parti affinché si evitino conseguenze a lungo termine: uno sciopero protratto per più settimane frenerebbe la catena produttiva e i consumi, provocando seri danni all’economia locale e delle zone limitrofe, Canada in primis. Biden è a un vicolo cieco: se ignorasse le richieste dei lavoratori, questi rischierebbero di penalizzarlo alle prossime presidenziali favorendo il ritorno di The Donald. Se, viceversa, avesse un approccio accondiscendente verso il sindacato, alienerebbe i centristi che votano l’Asinello.
Gli operai contro la sinistra
Gli operai manifestano tutta la loro insoddisfazione alla Bidenomics. E sembrano guardare a chi difende i loro interessi senza cedere alla retorica green. Donald Trump ha costruito la vittoria del 2016 grazie al consenso dei metalmeccanici del Midwest, tradizionalmente schierati a sinistra. Non è un caso che i distretti industriali delle roccaforti blu stiano passando al GOP. Trump è stato il primo presidente repubblicano in grado di strappare Winsconsin, Michigan e Pennsylvania al dominio incontrastato dei dem, che primeggiavano nella regione dei Grandi Laghi dal 1992.
Questo cambiamento è dovuto alla depressione delle contee operaie e all’atteggiamento elitista dei democratici. È difficile dimenticare i commenti al cianuro di Hillary Clinton contro la working class: riferendosi ai blue collars, definì metà dei sostenitori di Trump “a basket of deplorables”, “un cestino di deplorevoli”. Non sorprendiamoci se oggi i manovali, gli operai e i piccoli artigiani hanno smesso di ascoltare chi li deride.
Lorenzo Cianti, 16 settembre 2023