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Usano Floyd per calunniare Israele

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La storia, purtroppo, è come una trottola, gira su se stessa e, prima o poi, ritorna al punto di partenza. Se nel passato non avesse avuto conseguenze tragiche e nel presente non rappresentasse una seria minaccia, questo dato di fatto potrebbe pure passare in secondo piano, ma considerando l’aria che tira, ultimamente un po’ a tutte le latitudini, bisogna alzare gli scudi prima che sia troppo tardi, anzi, bisogna alzarli in maniera preventiva. Il giro giro della trottola ha riportato nel presente, cioè al tempo del Coronavirus, ciò che si mormorava per esempio durante la pandemia di peste del XIV secolo, mormorii che a lungo andare scatenavano pogrom e persecuzioni.

In realtà ce lo aspettavamo, era solo una questione di tempo prima che il cretino di turno aprisse bocca e ne facesse uscire l’unica cosa di cui è capace: cretinate. E al giorno d’oggi i mormorii viaggiano a colori e sono diventati vignette pubblicate a raffica in ogni posto possibile, reale o virtuale. In questo momento la vignetta con il disegno della stella gialla che i nazisti obbligavano gli ebrei a indossare, con all’interno la scritta CORONA UP, e quella dove c’è l’immagine del poliziotto americano accanto al soldato israeliano che soffocano una persona di colore e un palestinese vanno per la maggiore.

Non siamo stupiti, lo sapevamo che prima o poi gli ebrei, e di conseguenza Israele, sarebbero stati additati come i responsabili della pandemia che ha flagellato il mondo negli ultimi mesi perché il Coronavirus per qualcuno, e non sono pochi, è come la “peste ebraica”. Così nel 2020, proprio come nel XIV secolo, o in altri casi, sono così tanti che è impossibile citarli tutti, quel qualcuno di cui sopra sfruttando lo sbandamento derivato dal momento di allarme e paura, sta cavalcando l’onda e soffia sulla cenere dell’antisemitismo e dell’antisionismo, le due facce della stessa medaglia, per “mormorare”, questa volta usando i grandi mezzi di comunicazione e la rete, gli stessi identici concetti del quattordicesimo secolo.

Se il problema non fosse considerato grave, almeno dal punto di vista ebraico, il Ministero israeliano degli affari strategici non avrebbe fatto ricerche mirate sull’argomento, ricerche che hanno dato dei risultati pubblicati su un rapporto intitolato “Il virus dell’odio”. Se il problema non fosse considerato grave, almeno dal punto di vista ebraico, l’Anti-Defamation League e il Kantor Center for the Study of Contemporary European Jewry non avrebbero fatto le loro ricerche e non avrebbero pubblicato i loro rapporti sull’argomento. Se questi enti, statali e privati, si sono dati tanto da fare per capire quale sia l’attuale livello di pericolo che corrono un po’ in tutto il mondo le comunità ebraiche, vuol dire che il problema è serio e che non può essere sottovalutato. Per cui la massima attenzione, almeno da parte ebraica e da parte dei pochi amici che restano al Popolo Eletto, è obbligatoria.

Poi se accadrà il peggio, e la speranza è che non accada mai, nessuno potrà dire che non avevamo avvertito anche perché, c’è da giurarci, le conseguenze del 2020 sarebbero molto diverse rispetto a quelle del passato e, alla fine, il conto da pagare sarebbe salato per tutti. Ma non è tutto, siccome quando arrivano questo tipo di calunnie non arrivano mai sole, gli antisemiti in servizio permanente effettivo non hanno neanche atteso la fine della pandemia e, instancabili, sono usciti allo scoperto per mettere in circolazione un’altra storia: sostengono che l’ignobile uccisione di George Floyd a Minneapolis è frutto dell’addestramento impartito dalla polizia israeliana agli agenti di polizia americani.

Che ci sia collaborazione fra i dipartimenti di pubblica sicurezza di tutto il mondo è un fatto risaputo e non potrebbe essere altrimenti, soprattutto fra forze dell’ordine di paesi alleati che collaborano sia nella formazione del personale che nella raccolta di informazioni. La collaborazione con la polizia israeliana, che mette a disposizione la sua vasta esperienza in tattiche e operazioni antiterrorismo, è la più ambita soprattutto da quei dipartimenti che, non avendo conoscenze specifiche in questo campo, hanno interesse a colmare nel più breve tempo possibile il gap che hanno accumulato.

Ma non considerando che ormai il terrorismo in tutte le salse colpisce alla cieca e in ogni luogo, e non tenendo volutamente conto che l’unico modo per contrastarlo è nella collaborazione fra chi ha esperienza e chi no, le organizzazioni affiliate al movimento anti-israeliano Bds hanno sempre fatto di tutto per fermare queste collaborazioni. Anche Amnesty International in un suo rapporto del 2016 le ha denunciate, neanche fossero un crimine contro l’umanità, ricevendo per risposta dall’Associazione Nazionale degli Agenti di polizia di colore americani una lettera a sostegno dell’addestramento ricevuto in Israele. Lettera che, anche se ha causato un notevole imbarazzo, non ha cambiato di una virgola l’indirizzo politico dell’organizzazione e nella condanna a senso unico tipica degli ultimi anni di attività.

Sia il Bds che Amnesty International non hanno mai presentato, a sostegno delle loro teorie e delle loro richieste, alcuna prova che i poliziotti americani tornati da Israele fossero diventati dei nuovi Rambo. Paradossalmente, e questo dato viene tenuto nascosto, la totalità dei poliziotti che hanno avuto procedimenti per violenze nei confronti di cittadini afroamericani, non hanno mai avuto collegamenti con il programma di scambio internazionale con Israele. Non è una novità che i propagandisti antisemiti o antisionisti non si informino prima di far volare i venticelli delle ingiurie urlando da una parte e insabbiando dall’altra e, così facendo, anche l’omicidio di Floyd è diventato la nuova “calunnia del sangue” con la quale incolpare e infangare Israele, anche se lo Stato Ebraico si trova a migliaia di chilometri di distanza e non ha nulla a che fare con il caso.

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