Guardo questi medici di provincia, come in un racconto di Chesterton, le loro facce stravolte, penso a quante volte si saranno sentiti dire, fortunato te che lavori tranquillo, poca gente, poche rogne ma anche sul mare o in campagna un dottore di famiglia ha 1500 pazienti e sono tutti matti come in città. E la casa di carte arriva anche lì. “All’inizio, dopo il primo vaccino, erano 4 pagine più la scheda anamnestica per la seconda dose, poi si è aggiunta la scheda per la terza dose, più il consenso informato, alla fine si arrivava a venti facciate, da conservare per dieci anni in un archivio cartaceo ma anche da trasmettere in digitale. Adesso la procedura è stata un po’ semplificata – non tanto. E tutto va riversato sul portale Primula che è delle Poste, è governativo e qui confluiscono tutti i dati”. E se uno si chiede cosa c’entrino le Poste con un megaschedario sanitario, allora vuol dire che vive in un Paese che non ha mai capito.
Medici di famiglia trasformati in burocrati
Non si capisce neanche, anzi si capisce benissimo, che c’è un disegno. A forza di ripeterci che queste trovate erano frutto di incompetenza, di improvvisazione, di avventurismo, abbiamo perso il senso complessivo o, come dicono i miei dottori qui, “Vogliono ridurre la medicina generale al sistema americano, alla struttura paramedicale. Cioè la disfatta della rete curativa sul territorio. Come? Trasformando noi dottori di famiglia in semplici burocrati; e la ragione è presto detta: funzioniamo troppo, la vita media è salita troppo: impastoiandoci, la si fa retrocedere dagli 87 attuali a 82 anni e così si sfoltisce e lo stato ci guadagna: meno cure, meno analisi, meno farmaci, il servizio sanitario respira”. Può sembrare una provocazione, anche brutale, ma questa soluzione finale io me la sento ripetere da anni, da tanti sanitari diversi, sparsi; millecinquecento pazienti ciascuno e l’accorpamento delle funzioni di base, specialistiche e burocratiche, di una burocrazia che non fa che crescere come una foresta velenosa: i piani di resilienza, gli ammodernamenti informatici sono sempre sul punto di partire e non partono mai, come Stanlio e Ollio nella comica.
Finché il Covid ha, si potrebbe dire, perfezionato la strategia. “Lavorare in zona rossa, non si sa, non si dice, ma è infernale: se li curavi a casa, con le trasfusioni, passavi i tuoi guai; e che facevamo però? Li spedivamo in ospedale a contagiarsi? D’altra parte, accollandoci tutti i colli di bottiglia finivamo per mancare nel nostro ruolo capillare: ci chiamavano dagli ospedali, la filiera delle cure si era invertita. E il rapporto di fiducia medico-paziente ne risentiva, perché eravamo tenuti a fornire risposte anche su situazioni non nostre, lontane, complicate”.
“Il green pass ha falsato tutto…”
I dottori parlano all’imperfetto, come di un ricordo smaltito e invece ci sono, ci siamo ancora dentro, sia reale o meno l’emergenza perenne. “Non ha più senso parlare di pandemia ma di endemia e lo dicono tutti. La situazione è palesemente in discesa, va normalizzandosi. Il picco è superato. I reparti di intensiva sono più che gestibili. Allora, basta tamponi a tutti. Adesso occorre curare chi sta male sul serio, chi è grave: farlo coi positivi asintomatici è assurdo”. Già, ma intanto il lasciapassare lo vogliono cronicizzare. “Questo green pass semplicemente non ha senso. Ha falsato tutto, è uno strumento esclusivamente politico e anche questo ormai lo dicono tutti o meglio non lo smentisce più nessuno. Basta! È una tortura per i pazienti, per i cittadini, per noi che non riusciamo più a gestirli, a gestire un sistema collassato. La verità è che vaccini e green pass sono due cose diverse, estranee, e la loro applicazione andava diversificata, andava tenuta rigorosamente separata. Scadenza del green pass e copertura vaccinale sono concetti diversi, invece la gente vive per il greenpass. Qui nessuno è contro i vaccini, tutt’altro: arriviamo a dire che a volte le reazioni accusate sono più che altro suggestione”.
Su questo chi vi interpella avrebbe qualcosa da obiettare, e glielo dico infatti. Ma lasciamoli parlare, loro in televisione non ci finiranno mai e se anche fosse verrebbero immediatamente aggrediti, intrappolati. “Il punto è come tutto è stato condotto. Arrivando a uno spartiacque psichico, c’è un prima e un dopo il vaccino: come due epoche diverse. Come può una società matura, organizzata, responsabile regolarsi a questo modo? Il limite è la durata, lo sappiamo. E la durata del vaccino è funzione della variante: oggi vaccinarsi contro l’Omicron non ha senso, sarebbe come farlo per il raffreddore. Per la delta sì, per la Omicron no. La Omicron ha un tasso di aggravamento che è del 91% inferiore rispetto all’altra, quindi gli antidoti andrebbero utilizzati solo in modo mirato. Invece così gestendo la faccenda, chi sta male sul serio non viene curato: il filtro del pronto soccorso non tiene, non funziona, il pazienta torna indietro, torna da noi e finisce che dobbiamo letteralmente inventarci percorsi informali, anche per patologie gravi o terminali”.
Qui entra anche il discorso di una popolazione non abituata, che si vanta di rispettare le regole ma, nei fatti, cerca come può di abusarne. È il fenomeno degli accessi inappropriati alle strutture: “Vince il prepotente, il saltafila e questo non può andare: paga davvero chi più ha bisogno e magari è mite o spaventato di fronte alla protervia di altri. Violenti e arroganti in questo modo vincono sempre e qui in gioco c’è la salute e magari la vita. Questo dai media non esce, ma immagina cosa succede in un pronto soccorso preso d’assalto. Per cui, a noi tocca anche “rieducare”, o educare, pazienti che dimenticano di essere cittadini. Che pretendono tutto subito, anche ciò a cui non hanno diritto. Che non hanno rispetto di altri magari messi peggio di loro. Sarà panico, sarà cialtronaggine, sta di fatto che non se ne esce. Per questo i media hanno una responsabilità gigantesca in questa storia: hanno fomentato il terrore invece della responsabilità, il si salvi chi può al posto dell’autocontrollo. Questa situazione deve finire o almeno cambiare. Per tutti, anche per noi”.
Max Del Papa, 11 marzo 2022